A Sesto Fiorentino, alle porte verso nord di Firenze, una vicenda che intreccia industria e arte e che pochi anni fa sembrava destinata a finire in malora ha invece avuto un esito positivo: riaprirà entro il 2022 il Museo della Manifattura di Doccia. I più non lo sapranno ma la collezione raccoglie ceramiche, porcellane, strumenti di lavoro, libri, documenti, terrecotte di oltre due secoli e mezzo. È una raccolta strettamente connessa all’industria della Richard-Ginori, attività fondata nel lontano 1737 oggi nel cuore della città dal conte Ginori: il lavoro d’alto artigianato innervava la vita cittadina, anche le lotte politiche per i diritti dei lavoratori. Dal 1923 al 130 la fabbrica ebbe come direttore artistico un architetto e designer di statura internazionale come Gio Ponti (1891-1979). Ma il fallimento della Richard-Ginori nel 2013 sembrò chiudere male una storia; a ruota, nel 2014 chiuse la collezione nell’edificio dirimpetto all’ingresso della fabbrica. Posti di lavoro perduti, un luogo di cultura, design, alto artigianato, tradizione, fototeca, libri e documenti senza un futuro.
Infiltrazioni d’acqua dal tetto e altri guasti nel lungo palazzo inaugurato nel 1965 stavano mandando in rovina questo patrimonio di cultura industriale. Nel 2015 l’archivio fu portato all’Archivio di Stato per tutelarlo ma non bastava: ci fu un movimento d’opinione e nel 2017 il ministero per i Beni e attività culturali e del turismo, anche allora diretto da Dario Franceschini, decise di acquistare il museo. Cui ha seguito ora un altro passaggio decisivo. In una giornata di dicembre più mite del solito il ministro, il governatore della Regione Toscana Enrico Rossi e il sindaco di Sesto Lorenzo Falchi hanno siglato davanti a un notaio, ai giornalisti e ai cittadini l’atto di nascita della Fondazione con i tre enti come soci che, tutti a guida centrosinistra o sinistra, hanno saputo disegnare la complessa architettura istituzionale e gestiranno il museo – archivio.
Una storia sociale e politica. Rossi aggancia la realtà culturale a quella lavorativa: la fabbrica ha un nuovo management, «c’è un bel clima, c’è intesa con le organizzazioni sindacali, si è tornati a produrre in modo appropriato» e, osserva, le prospettive non mancano. Restava il pericolo che restasse in un limbo il museo-archivio. L’acquisto del Mibact del 2017 aveva salvato dalla rovina ma non bastava a scongiurare un futuro fosco. La neonata Fondazione con ministero, Regione e Comune dà al contrario un futuro a un istituto che, come dice il sindaco, riflette «la storia sociale e politica della comunità di Sesto: avere la fabbrica salvata che rimane e accanto un museo di impresa che riaprirà valorizzato è un’occasione straordinaria». Ancora Rossi: «Se calpestiamo il nostro passato è semplice capire che non abbiamo futuro: tutto questo sta nel quadro invece di una Toscana che qui dal suo passato trova energie per il futuro. Il museo sarà per il turismo, e va bene, ma anche per il godimento e la consapevolezza dei cittadini toscani». Questo lavoro «è frutto di un impegno collettivo e ne esce un modello produttivo per tutti i musei di impresa – dice Franceschini prima di firmare– Ringrazio chi si è impegnato a partire dal professor Tomaso Montanari».
La spesa. Tra acquisto dell’edificio e delle collezioni, restauri e altre voci il Mibact spende 6 milioni 154mila euro più 100mila euro che vanno al fondo della Fondazione. La Regione ne mette 200mila nel medesimo fondo più 300mila per il museo per il 2020 e il 2021, il Comune ne versa 100mila nel fondo e altrettanti per gestione e funzionamento del museo fino al 2021. L’edificio necessita di restauri e messe a norma e rientra nel Polo museale della Toscana diretto da Stefano Casciu. La Fondazione è lo strumento giuridico scelto dai tre enti. A differenza di altre zone d’Italia (purtroppo), invece questo pezzo di industria e cultura ha appunto un futuro.