«La “Vittoria alata” è uno dei pochi bronzi romani giunti fino a noi e già questo rende la scultura importante, oltre alla qualità molto alta. Inoltre non è la scultura modificata di una statua più antica come si è ritenuto in passato: è stata concepita subito nella forma in cui la vediamo e siamo riusciti a circoscriverne la cronologia intorno alla metà del I secolo d. C. Senza dimenticare l’altissima qualità dell’opera». Chi descrive la scultura cui Giosué Carducci riservò un’ode è Francesca Morandini, archeologa del Comune di Brescia e della Fondazione Brescia Musei: ne parla perché oggi 17 dicembre la scultura dalle grandi ali e dalle braccia protese in una posizione apparentemente curiosa torna restaurata nel Capitolium della città lombarda dopo essere stata restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e su un basamento antisismico.
Lo spazio del Capitolium nell’area di Brixia – Parco Archeologico di Brescia Romana è stato completamente rivisto dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg. Il restauro e il lavoro nello spazio museale portano le firme del Comune, della Fondazione Brescia Musei, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Bergamo e Brescia, dell’Opificio, e hanno il sostegno della Regione Lombardia. Un volume edito Skira con foto di Alessandra Chemollo accompagna il ritorno della scultura. Un unico rammarico: si dovrà attendere la riapertura dei musei perché tutti possano vedere questo capolavoro.
Francesca Morandini, la Vittoria Alata venne ritrovata durante scavi del 1826 in un’intercapedine dell’antico tempio. Nonostante la sua bellezza, però, forse non è così conosciuta in Italia. Qual è la sua importanza?
Intanto è uno de. i pochi bronzi romani giunti fino a noi. Le statue in bronzo erano di un materiale prezioso e ma riciclabile: venivano fuse per fare altre statue, per battere moneta, per realizzare armi o altri oggetti. Già il fatto che si sia conservata rende la scultura importante. Inoltre in passato veniva ritenuta la modifica di una statua più antica e forse anche per questo non ha mai goduto di una larga attenzione dagli studiosi. Grazie a questo progetto di restauro e valorizzazione invece è stato possibile fare luce sulle vecchie interpretazioni della “Vittoria alata”.
E cosa avete scoperto?
Si è visto innanzi tutto che non è una statua modificata ma fu concepita subito come Vittoria alata nella forma in cui la vediamo.
Come è stata realizzata?
Con il metodo della fusione a cera persa indiretta. Ciò vuol dire realizzate più parti fuse singolarmente, circa 30, saldate poi insieme in modo a formare questo modello che è la cosiddetta Vittoria alata che scrive sullo scudo. Perché la statua doveva tenere uno scudo oggi mancante tra il braccio e la gamba piegata e con la mano destra incideva in un nome sullo scudo che offriva alla vista. Probabilmente aveva inciso il nome di un vincitore in uno scontro bellico, perché la Vittoria era una divinità che conferiva onore in una vittoria militare. Spero che con le novità emerse dal lavoro dove si sono impegnate decine di studiosi e restauratori ai massimi livelli d’ora in poi la scultura vada a occupare il posto che merita nella storia dell’arte antica e nei manuali di archeologia dove è una grande assente. Forse non è stata riconosciuta come merita per le zone d’ombra sulla cronologia e perché ritenuta la modifica di un’altra opera.
Cosa ha di diverso adesso rispetto a due anni fa?
Quando fu scoperta nel 1826 aveva le braccia e le ali staccate. Negli anni ’30 dell’800 fu creato un dispositivo interno per far sì che ali e braccia venissero agganciate al resto del corpo con notevole ingegno e capacità artigianale. Questo dispositivo non funzionava più correttamente e creava danni alla statua. Il restauro è partito da questa necessità. Alla scultura è stato quindi tolto il supporto ottocentesco e ne è stato progettato uno nuovo con le tecnologie più moderne. Abbiamo lavorato con ingegneri del dipartimento di ingegneria aerospaziale dell’università della Sapienza di Roma che avevano già avuto esperienze con bronzi antichi. Il lavoro è stato condotto gomito a gomito con i restauratori per individuare zone deboli e forti della statua. Poi il modello progettato dagli ingegneri è stato realizzato dall’azienda Capoferri di Bergamo che è specializzata in meccanica di precisione.
Il supporto della statua come è fatto?
È un supporto in acciaio che doveva entrare dalla zona dei piedi e aprirsi all’interno e interfacciarsi con le superficie della statua. È un lavoro che ha messo insieme tante competenze dall’esito molto felice. Il dispositivo interno va ad appoggiarsi a una base antisismica a pavimento: abbiamo lavorato con la consulenza del Politecnico di Milano che si era occupato già di queste problematiche e abbiamo messo in campo tutti gli strumenti di conservazione e tutela per un’opera che è straordinaria.
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