Hyundai sospende pubblicità su Twitter perché associata a contenuti neonazisti

Il caso riporta al centro dell’attenzione il tema del controllo della conversazione, che in questo momento è in mano a poche e ricchissime compagnie americane, che hanno, di fatto, monopolizzato la rete

Hyundai sospende pubblicità su Twitter perché associata a contenuti neonazisti
Elon Musk e il suo X
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28 Aprile 2024 - 09.00


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di Pancrazio Anfuso

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Nancy Levine Stearns, giornalista freelance americana, ha postato su X, il social network noto ai più come Twitter, uno screenshot che mostra la videata di un tweet antisemita e filonazista proveniente da un account verificato di Twitter. Accanto al tweet incriminato, ripreso in un’inchiesta dalla CNN, figurava una pubblicità a pagamento della Hyundai. Un portavoce della multinazionale coreana ha reagito immediatamente annunciando di aver sospeso la pubblicità su X, per evitare l’associazione del marchio a simili tematiche. X ha poi reso noto di aver sospeso il profilo in questione.

Lo screenshot di Twitter

Elon Musk ha rilevato nel 2022 Twitter, per la modica somma di 44 miliardi di dollari. Da allora le polemiche sulla mutazione impressa alla popolare piattaforma social non si sono mai placate: dai cambiamenti d’indirizzo epocali, tipo la modifica del nome o l’introduzione di alcune funzioni a pagamento, come la prerogativa di account verificato, segno d’autorevolezza, (spunta blu) per ottenere la quale è ora sufficiente pagare un abbonamento, alle uscite provocatorie dell’eccentrico miliardario sudafrican-canadese-americano. Non ultima, e strettamente collegata alla questione, quella di apprezzamento di un post che sosteneva la delirante teoria suprematista secondo la quale esisterebbe un complotto ebraico che mira a ridurre la popolazione bianca nei paesi occidentali.

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Un’inchiesta della NBC ha rivelato che esistono su X almeno 150 profili premium che producono contenuti neonazisti e antisemiti. La Hyundai si aggiunge ad altre compagnie che hanno annunciato di sospendere la pubblicità sui social per non essere associate a contenuti di questo tipo e alla diffusa pratica dello hate speech che affligge il web. Tra le altre, IBM, Apple e Paramount.

La vicenda richiama quella della multinazionale dell’auto che nel 1994 protestò con Tripod, pioniere americano del web hosting, per un banner pubblicitario che usciva associato a una pagina web che faceva l’elogio illustrato del sesso anale. I famigerati pop-up, inventati da Ethan Zuckerman, che recentemente ha chiesto scusa per aver creato il meccanismo infernale che ha reso problematica la navigazione a milioni di internauti, costretti a chiudere finestre invasive e a dotarsi di strumenti in grado di bloccare le sgradite sortite pubblicitarie.

Il caso che coinvolge Hyundai è più grave, perché riporta al centro dell’attenzione il tema del controllo della conversazione, che in questo momento è in mano a poche e ricchissime compagnie americane, che hanno, di fatto, monopolizzato la rete, imponendo regole spesso cervellotiche, e modelli pubblicitari basati sulla profilazione degli utenti, vero business alla base della loro enorme ricchezza.

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