L'arresto di Pavel Durov: un caso di giustizia o un attacco alla libertà?

Il fondatore di Telegram è stato rilasciato in libertà condizionata con l’obbligo di restare in Francia. Tra accuse di crimini gravi e controversie sulla privacy, la vicenda solleva dubbi sul ruolo delle piattaforme digitali nella lotta alla criminalità

L'arresto di Pavel Durov: un caso di giustizia o un attacco alla libertà?
Telegram. la piattaforma di Pavel Durov
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29 Agosto 2024 - 16.23


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di Lorenzo Lazzeri

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L’arresto di Pavel Durov, il geniale fondatore di Telegram e detentore di passaporti russo, francese e della piccola isola caraibica di St. Kitts and Nevis, la cui cittadinanza è stata acquisita nel 2013 per garantirsi un documento su cui fare affidamento in caso di ritiro dei suoi documenti europei o russi, ha scatenato un acceso dibattito a livello globale. Alcuni hanno paragonato la vicenda a un “secondo caso Assange”, denunciando presunti abusi dei governi occidentali nel tentativo di soffocare la libertà di espressione e di controllare le comunicazioni digitali. Tuttavia, la realtà dei fatti sembra essere ben diversa.

Durov è stato fermato, dopo essere atterrato con il suo jet privato su territorio francese, successivamente rilasciato, ma con l’obbligo di presentarsi in tribunale, dove è stato scortato per rispondere a gravi accuse, tra cui l’agevolazione di crimini come la violenza sessuale su minori e pedopornografia attraverso l’uso di Telegram. Le accuse non riguardano direttamente il suo comportamento personale, ma piuttosto le non risposte alle richieste di cooperazione da parte delle autorità giudiziarie che indagano sui crimini commessi utilizzando la sua piattaforma. La magistratura francese aveva infatti emesso un mandato di comparizione, trasformato poi in un mandato di arresto dopo che Durov non aveva risposto, aggravando così la sua posizione legale. Dopo l’ultimo interrogatorio in tribunale, a Durov è stata concessa la libertà condizionata dietro una cauzione di cinque milioni di euro e a fronte dell’obbligo di presentarsi due volte a settimana in una stazione di polizia e che rimanga in Francia.

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Non si tratta quindi di un problema di libertà di espressione, ma piuttosto della mancata collaborazione di Telegram con le autorità. Al centro della questione non vi è un tentativo di censura o di limitazione della libertà di espressione, ma piuttosto la preoccupazione che Telegram sia divenuto la leggendaria isola della Tortuga, un rifugio sicuro per criminali di ogni tipo.

Mentre altre grandi piattaforme come Meta, Google e Microsoft hanno scelto un approccio più collaborativo fornendo metadati e altre informazioni utili alle indagini, Telegram si distingue per la sua politica di non collaborazione con gli Stati sovrani, persino in casi che riguardano terrorismo, traffico di armi, droga e pedopornografia.

È vero che Telegram rimuove alcuni contenuti illegali, ma lo fa in modo molto selettivo e, soprattutto, senza fornire alle autorità i dati necessari per identificare i colpevoli, rendendola una piattaforma quasi anarchica, dove i criminali possono operare con relativa impunità.

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L’utente dovrebbe invece sapere che non tutte le chat su Telegram sono cifrate: ad esempio, i canali pubblici non lo sono, e questo apre la porta a potenziali vulnerabilità. Agenti automatici come i BOT possono sfruttare queste debolezze per accedere e copiare dati sensibili, analizzare e schedare le azioni degli utenti; per assurdo questi BOT potrebbero anche essere utilizzati per inoculare software malevolo nei sistemi degli utenti di Telegram, portando a seri rischi di sicurezza. A causa di queste preoccupazioni, l’uso di questa applicazione è stato vietato su dispositivi appartenenti a determinate categorie governative, come ad esempio i membri della Nato, dell’Fbi e di altre organizzazioni sensibili, similmente a quanto avvenuto con TikTok.

Occorre segnalare che alcuni commentatori hanno ipotizzato che l’arresto di Durov sia in realtà una mossa della Francia per ottenere le chiavi crittografiche di Telegram, permettendo così alle autorità di intercettare le comunicazioni degli utenti; questa ipotesi fantasiosa è tuttavia infondata: la struttura della crittografia di Telegram, che viene attivata solo su richiesta dell’utente, si basa su chiavi asimmetriche generate al momento della comunicazione, che vengono condivise solo tra i due interlocutori, rendendo impossibile a un terzo un accesso esterno ai dati criptati anche da parte della stessa piattaforma.

Il vero problema, in realtà, risiede nei metadati, che comprendono informazioni come l’orario e la data delle comunicazioni, gli indirizzi IP degli utenti, i numeri di telefono o gli identificativi degli account coinvolti e la durata delle conversazioni; questi dati che non rivelano il contenuto delle comunicazioni, sono fondamentali per tracciare e identificare i soggetti coinvolti in attività criminali. La riluttanza di Telegram a consegnarli compromette la pubblica sicurezza e l’azione giudiziaria e in un mondo sempre più digitalizzato, dove le comunicazioni online possono essere utilizzate per pianificare crimini efferati la capacità delle autorità di accedere a queste informazioni destabilizza e mette in pericolo la società. Se Telegram non collabora, consente a chiunque di agire nell’ombra, dal killer a contratto al trafficante di armi, dal pedofilo al cybercriminale.

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L’arresto di Pavel Durov Valerievich non è un attacco alla libertà, ma un’applicazione della legge francese con lo Stato che ha agito in difesa del diritto, che mira ad assicurare alla giustizia coloro che agevolano o sfruttano le piattaforme digitali nel commettere crimini. Di fatto, molto più di altre piattaforme, Telegram continua a essere terra di nessuno, rendendosi complice di un sistema che favorisce l’impunità. È forse questo il vero motivo dell’arresto di Durov, un segnale che la giustizia non può e non deve essere elusa, neanche nel mondo virtuale.

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