È stato il Papa della contemporaneità, con una grande attenzione all'ambiente

Con il professore Marco Ventura abbiamo fatto un ritratto di quello che è stato il papato di Francesco. La coesistenza con Papa Benedetto XVI, la svolta ambientale con l'enciclica Laudato Si', la pace ma anche il tema mediatico.

È stato il Papa della contemporaneità, con una grande attenzione all'ambiente
Papa Francesco
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Ludovico Conti Modifica articolo

21 Aprile 2025 - 15.40


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La nostra intervista a Marco Ventura, giurista e docente ordinario all’Università di Siena, esperto di religione e comunicazione, per indagare le trasformazioni della Chiesa sotto Papa Francesco. In questo dialogo, esplora il significato della coabitazione con un papa emerito, il rapporto con i media, il tema della pace, l’impegno ambientale e la visione globale della Chiesa.

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Come si inserisce il pontificato di Francesco all’interno della storia della Chiesa Cattolica? Il suo pontificato si può considerare un punto di svolta rispetto alla storia recente della Chiesa?

Rappresenta una svolta come ogni pontificato rappresenta una svolta, ma non più di altri pontificati. Ogni pontefice ha la sua personalità. Con gli ultimi papi, per chi era abituato ai pontificati italiani, questa personalità ha incorporato le storie e le culture nazionali che i pontefici hanno portato con sé a Roma. E poi c’è il tempo, la storia: ogni pontificato riflette anche il proprio tempo. In questo senso, le svolte dei pontificati sono le svolte dei tempi.

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Poi, ogni pontificato, come anche questo, reinterpreta la tradizione. Sicuramente Papa Francesco ha dato la sua impronta all’interpretazione della tradizione, in particolare ha dato la sua impronta alla valorizzazione del Concilio Vaticano II.

Questo è stato il primo papato che si è trovato a convivere con un altro papa, Benedetto XVI: quanto questo fatto ha impattato sia nella percezione che nel papato in sé?

Mi sembra che si sia cercato, nella comunicazione ufficiale della Santa Sede, di relativizzare questa coesistenza dei due papi. Relativizzarla nel senso di non enfatizzarla. Nella realtà, credo che sia stata una circostanza molto significativa, anche se non so misurare esattamente in che senso. Ma è un fatto che per tre quarti del suo pontificato, Francesco ha convissuto con un papa emerito e che questa sia stata una condizione fondamentalmente inedita.

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Si può fare in proposito un’osservazione che riguarda la crescente esposizione mediatica anche della Chiesa, e anche dei vertici della Chiesa Cattolica. Pensiamo a Papa Francesco in mondovisione che celebra la Pasqua durante la pandemia.

Questo è significativo, perché la coabitazione è stata caratterizzata dal fatto di svolgersi in un tempo di grande esposizione mediatica. D’altra parte, il papa emerito (Benedetto XVI) passerà alla storia come il papa del primo tweet. E questa circostanza può essere identificata come significativa del fatto che la coabitazione — già di per sé inedita — si è dovuta interpretare da entrambi i papi in un tempo di grande esposizione mediatica.

Se dovessi azzardare un significato, azzarderei quello dell’interpretazione di questa coabitazione da parte di Papa Francesco come l’ennesimo esercizio di ascolto, inclusione e pluralità. È stato rimproverato a Papa Francesco di non essere coerente fino in fondo con un progetto di pontificato plurale, però — dal punto di vista dello stile e del programma del pontificato — questo pontificato si è sviluppato, per quanto possibile, nel senso dell’ascolto, dell’inclusione e della valorizzazione di una pluralità.

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In questo senso, il fatto di coabitare con un pontefice precedente divenuto emerito può essere colto come un simbolo, da parte di Papa Francesco, di quest’attenzione per l’ascolto e la pluralità. Dall’altra parte è così che Papa Francesco ha sempre presentato e impostato i suoi rapporti con il predecessore. Anche perché Papa Benedetto XVI non è un pontefice che, divenuto emerito, si è rinchiuso nel silenzio. Si è tentato di accreditare prima, e di accompagnare poi, questa versione di un pontefice sostanzialmente scomparso al mondo. Ma, ad essere sinceri, non è questo il modo in cui Benedetto XVI ha interpretato il suo ruolo di papa emerito. Quindi, da parte di Papa Francesco, si è trattato a sua volta di interpretare il predecessore, di relazionarsi con un predecessore che continuava ad esprimersi.

Abbiamo toccato il tema mediatico. Papa Francesco è stato un papa molto mediatico, anche molto presente nei nuovi media. Questo ha aiutato a dare una percezione positiva della Chiesa come vicina alla realtà contemporanea?

Francesco ha rinnovato una tradizione di presenza nella modernità per evangelizzare la modernità. Questa tradizione è stata interpretata da diversi pontefici in modi diversi, naturalmente a seconda — di nuovo — dei contesti e dei mezzi di comunicazione. Papa Francesco è stato un testimone di una preoccupazione di presenza nella realtà, che significa oggi presenza nella contaminazione di realtà “reale” e “virtuale”; il virtuale è realtà e quindi Papa Francesco non ha fatto che applicare al virtuale un principio molto lontano e profondo del cattolicesimo, ribadito nel Concilio Vaticano II: la presenza nella vita per evangelizzarla.

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È chiaro che l’era digitale presenta sfide epocali. Papa Francesco ha parlato di era digitale, di intelligenza artificiale, e ha detto che siamo in presenza non di un’epoca di cambiamento, ma di un cambiamento di epoca. E’ questa l’espressione che lui ha usato per sottolineare quanto sia fondamentale il cambiamento che stiamo vivendo, anche in relazione all’era digitale.

A maggior ragione è stato anche il pontefice che ha accompagnato una crescente mobilitazione su quel fronte della Chiesa Cattolica. Non ci si sottrae, non si elude la questione, ma si entra anche nel digitale, secondo il principio che teologicamente diremmo di incarnazione: si entra anche nel digitale per vivere anche lì la missione di evangelizzazione.

Papa Francesco è stato anche definito un papa pacifista per le sue posizioni di non violenza. Come giudica il suo “interventismo nel non interventismo”?

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È sempre difficile applicare queste categorie alle posizioni dei pontefici. È sempre difficile… e tanto più quanto queste categorie sono piegate a interpretazioni contingenti di poco respiro, e anche ad agende limitate dal punto di vista politico ed ideologico. Il pontefice e la Chiesa Cattolica hanno uno sguardo infinitamente più grande sul mondo come spazio, e sulla storia come tempo, rispetto alla gran parte di coloro che strumentalizzano la pace a vantaggio di piccole strategie, nello spazio e nel tempo.

Da questo punto di vista, anche Papa Francesco — come altri pontefici — ha insegnato, intanto, la complessità della realtà dei conflitti; la necessità che la pace sia sottratta a una dimensione ideologica, lontana dalla realtà, e calata invece nella concretezza della sofferenza delle persone, degli interessi, in termini di passi significativi per andare oltre. E poi, come dire, la necessità che la pace sia ancorata alla realtà del possibile. La visione della pace del pontefice, naturalmente, è una visione fondata su una concezione cristiana.

Anche su questo vanno registrate le differenze di approccio rispetto a chi ha una concezione diversa della dignità della persona. Ci sono cose che ha detto Francesco che sono state giudicate come “di sinistra”, e viceversa, cose che sono state criticate come “di destra” dalla sinistra. In realtà, quello che ha fatto Francesco è stato affermare una dimensione della persona, una dignità umana che è in contrasto con la destra come con la sinistra.

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Aggiungerei che il concetto di pace, fondato su un realismo cristiano e su una visione cristiana della dignità umana, è un concetto che — mentre è cristiano — è fatto anche per incontrare altre vie verso la stessa concezione della realtà, del mondo e della dignità della persona. Mentre è stato cristiano, Francesco è stato anche un uomo di dialogo con altre culture, costantemente sfidate però, nel dialogo, ad incontrarsi su un principio di realtà e dignità.

Con Papa Francesco abbiamo avuto anche una svolta ambientale. Che impatto ha avuto l’enciclica Laudato si’ e la relativa svolta ambientale?

C’è un’urgenza che ci impone di misurare l’impatto in cambiamenti concreti e tangibili. In questo senso, non saprei dire l’impatto perché servono competenze, che io non ho, per misurare come sono cambiate le politiche ambientali di persone e paesi. Ed anche perché queste analisi sono molto contestuali.

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Però è importante dire che il pontefice si è fatto carico di questo senso di urgenza, di questo senso che abbiamo, che c’è bisogno di vedere cambiamenti immediati e tangibili. Però l’orizzonte del pontefice — anche su una questione fondamentale come quella ambientale — è necessariamente un orizzonte più ampio, un orizzonte di chi sa quanto sono lenti i mutamenti dell’uomo.

Chi parla per la Chiesa, parla a partire da una saggezza plurimillenaria, che concepisce il tempo in modo diverso. In qualche modo, la preoccupazione di Francesco è stata questa: tenere insieme due aspetti che possono risultare contraddittori. Da un lato l’urgenza e dall’altro il tempo della storia, che è un tempo più lungo del tempo dell’urgenza. Ma davanti a una crisi ambientale, il Papa ha chiesto all’umanità un cambio di passo.

Papa Francesco, possiamo dire, è stato diverso dalle ultime correnti più conservatrici, come quella rappresentata da Papa Ratzinger. Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro della Chiesa: un ritorno a una corrente più conservatrice o il passo di Francesco verrà mantenuto?

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Non c’è bisogno, per vedere la novità di Francesco, di associare a Benedetto XVI posizioni che non ha avuto. Sarei attento in questa lettura. Sono stati, in fondo, due pontefici così diversi che Papa Francesco è stato anche molto attento a presentare le sue novità non in contraddizione con il pontificato precedente. Ha usato un metodo diverso, è intervenuto su temi diversi come quello del ruolo della donna nei ministeri della Chiesa, ma questo non significa che Ratzinger non fosse attento alla questione femminile, ad esempio.

Credo che, più che mai oggi, le categorie di progressista e conservatore siano inappropriate. C’è una grande novità storica: quella di una mondialità più piena della Chiesa. E il Papa venuto dall’altro emisfero ha rappresentato soprattutto questo: una Chiesa del terzo millennio davvero mondiale e davvero policentrica da un punto di vista culturale. Per quanto il cattolicesimo resti il cattolicesimo romano, assistiamo oggi davvero allo sviluppo di una Chiesa mondiale.

In questo senso, potremmo dire di aver vissuto con Francesco un esperimento significativo di carattere religioso, culturale, politico, di comunità mondiale ed anche di governo mondiale. La Chiesa Cattolica rappresenta un esempio di comunità, ma anche un esperimento di istituzione mondiale come nessun’altra.

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Questa eredità di Papa Francesco non resterà non raccolta. La Chiesa Cattolica, su un punto, non può tornare indietro rispetto a Papa Francesco, ed è la necessità di proseguire l’esperimento di una mondialità diciamo avanzata.

La seconda cosa che vorrei dire è che l’esperimento della mondialità fatto dalla Chiesa non deve mai essere letto come un esperimento unicamente mondano. Qualcuno può non credere nell’aldilà, ma la Chiesa ci crede, e il Papa rappresenta la Chiesa che ci crede.

Questo, come dire, è l’altro esperimento dell’umanità rappresentato dalla Chiesa: cosa significa, per l’umanità del terzo millennio, essere pienamente nel mondo e nella storia, ed al contempo provare a relazionarsi con una dimensione ulteriore. Su questi due aspetti, che Papa Francesco ha interpretato pienamente, non potrà esserci un ritorno indietro. Ci sarà un nuovo sviluppo — non possiamo immaginare quale sarà — ma ci sarà, affidato alla personalità di un’autorità pontificia. Perché la personalità conta, a tutti i livelli. E sarà affidato, come è stato per Papa Francesco, alla Chiesa nella sua dimensione comunitaria e collettiva.

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