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di Marcello Cecconi
“C’è un segreto giù nei campi e me lo disse una mattina una fanciulla che incontrai. Esiste un fiore strano che ha nel calice un nèttare divino. Non so per quale ninfa fu creato questo fiore, ma l’uomo che una volta si disseta con quel nèttare, s’addormenta e non sa più. Anch’io accosterò le labbra al calice del fiore strano, gusterò del nèttare divino, e m’addormenterò sul fossato. E sopra di me passerà l’Autunno e piangerà la bufera. Ma io non udrò, e sognerò la canicola che imbianca le stoppie”
Così scriveva, il 10 giugno del 1930, Dina Ferri. La non ancora ventiduenne “poetessa pastora” terminava così gli appunti sul suo “quaderno” nel giorno in cui, carpendo dal parlottare dei dottori la parola peritonite, capisce che non c’era più niente da fare. Ai genitori, scrive: “ora il male ha vinto… Prima non mi saziavo di sole e di canzoni; ora mi basta quel raggio che mi tocca la coperta… sento di staccarmi a poco a poco da voi. Quante tempeste sono passate su di me!”. Morirà 8 giorni dopo, nel letto numero 103 dello Spedale di Santa Maria alla Scala di Siena. Ora il mondo letterario italiano sta rileggendo l’opera di Dina Ferri, un caso che appassiona riviste letterarie e case editrici. E nel 2020, nel novantesimo della morte e per iniziativa del Comune di Chiusdino, è uscito “Quaderno del nulla e altri testi” a cura di Nicoletta Mainardi e introduzione di Marco Marchi per l’editrice Le Lettere (pp. 270, euro 18,00).
Non aveva ancora ventidue anni e Dina lasciava incompiuto quel suo quaderno, quella sua storia breve ma intensa di poetessa istintiva che mischiava immaginario e realtà di un percorso umano tribolato ma coraggioso che metterà alla prova introversione, umiltà e naturale talento di ragazza di campagna attraverso i complicati approcci al mondo culturale “elevato” del capoluogo senese che l’aveva scovata nella scuola di campagna.
Dina Ferri nasceva nel podere di Prativigne il 29 settembre 1908, era lo stesso anno che Henry Ford negli Stati Uniti costruiva la prima auto “per tutti”, la mitica Model T e la Bella Epoque impazziva di modernità in tutta Europa. Ma questo, però, nel podere mezzadrile della fattoria di Anqua dei conti d’Elci tutto era lontanissimo. E’ una località del comune di Radicondoli, paesino immerso nelle colline metallifere senesi. Sin da piccola impara subito la vita di campagna e la suddivisione gerarchica dei lavori assegnati anche ai ragazzi; la sua, era una famiglia numerosa, con tante “braccia”, come la realtà mezzadrile esigeva e prima di tre fratelli con il padre che all’interno della famiglia rivestiva un ruolo importante. Santi Ferri, infatti, era un uomo attivo e da autodidatta aveva imparato a leggere e scrivere e messo a frutto queste sue capacità. Integrava il suo lavoro quotidiano nei campi con l’attività di stimatore eseguendo e stilando la valutazione di beni per le suddivisioni di proprietà di terreni, immobili e soprattutto attrezzatura agricola e suppellettili. Non faceva difetto al padre la capacità di elevarsi dalla media tanto che sarà anche autore di un libro, “Un contadino ai contadini”, dove fra le altre cose rifletteva le sue idee politiche di socialista anticlericale.
Dina inizia ad accudire il gregge e solo a nove anni, dopo che la famiglia si trasferisce nel podere San Carlo a qualche chilometro dalla frazione di Ciciano del comune di Chiusdino, sempre delle colline metallifere senesi, inizierà a frequentare la scuola elementare. Al terzo anno sarà costretta ad abbondonare perché la famiglia aveva bisogno di lei nel podere e, pur amareggiata, non si lascerà andare e di nascosto continuerà a prendere lezioni da una sua compagna di classe. Inizia allora a scrivere pensieri e rime mentre accompagna il gregge nelle ruvide e colorate colline, scrive tutto con una metrica semplice, spesso con rime ABAB quasi da filastrocca, che rimanda alle cantilene di narrazione orale della tradizione toscana. Lei appunta tutto su un unico quaderno sulla cui copertina si legge “Quaderno del nulla” e suddivide il tempo fra il gregge e il ricamo, arte imparata dall’amata nonna.
Solo successivamente, dopo che in un incidente con il trinciafieno si amputava quattro dita della mano destra, fu invitata e motivata dal padre a tornare sui banchi di scuola. A quindici anni, era il 1924, si faceva dieci chilometri al giorno per andare a venire da Chiusdino ma la maestra, Giuseppina Cairoli, non impiegò molto tempo a rendersi conto delle qualità della ragazza. “Scrive molto meglio di me”, disse all’ispettore scolastico nel porgergli il diario di Dina. L’ispettore non ebbe difficoltà a rendersi conto del talento e, infatti, si adoperò per farle avere una borsa di studio e convincere i genitori a farle continuare gli studi magistrali. A procurarle il sussidio per mandarla a Siena si preoccuparono Aldo Lusini e il marchese Piero Misciattelli, uomini di cultura senese che nel 1926 fondarono insieme la rivista letteraria La Diana. Nell’estate dello stesso anno Dina è già ospite della sua maestra a Siena, si prepara e supera gli esami di ammissione ottenendo anche un posto in convitto grazie all’intervento del Monte dei Paschi di Siena.
Il cambio di vita dal 1927, per Dina, è determinante. Segue i corsi dell’Istituto Magistrale Santa Caterina di Siena e vive in collegio ritornando a casa per le vacanze, durante le quali continuerà ancora a occuparsi del gregge. Nonostante la vita rigida del collegio riesce a immergersi e stupefarsi dell’arte che incontra per le stradine della città che come i sentieri delle sue colline le muovono sensazioni che continua a depositare nel suo quaderno.
Sette poesie, che Aldo Lusini sceglie per la sua rivista La Diana, accompagnate da un profilo biografico di Dina, la fanno diventare nota e gli articoli che parlano della “poetessa pastora”, fioriscono sia a Firenze che a Roma. Intanto però, siamo nell’autunno del 1929, in seguito a un’epidemia influenzale molto diffusa in tutto Chiusdino, Dina si prende una febbre maligna che non vuole più lasciarla e l’arrivo dell’inverno la costringe sempre nel suo letto. E’ un lungo tempo di riflessione, di osservazione, di ascolto che la fanno continuare a riempire quel suo quaderno ma è tempo anche di preoccupazioni e non solo per il suo stato di salute ma anche per le attenzioni squadriste a cui è sottoposto “quel socialista” di suo padre. “Ma perché tanto male nel mondo?” si domanda.
A febbraio del 1930, prima del viaggio verso l’ospedale di Siena lascia un messaggio ai suoi familiairi: “Curate ora e sempre i miei libri; anche se io non li adopererò più, desidero che siano conservati e bene. Essi sono tutto per me: la gioia semplice della mia fanciullezza e la speranza della mia gioventù”. Fu infatti trasferita nel “reparto delle donne povere” all’Ospedale di Santa Maria della Scala dove si scoprirà che non era influenza la sua ma una tubercolosi intestinale con infiammazione del peritoneo. Morirà, dopo quattro mesi di sofferenze, il giorno stesso dell’intervento che si rivelerà ormai inutile. Era, appunto, il 18 giugno del 1930.
Appena un anno dopo, quel suo quaderno di appunti, riflessioni e rime viene pubblicato per intero. A prendersi cura di questa prima edizione del Quaderno del nulla è lo stesso marchese Piero Misciattelli, uno dei suoi mentori e mecenate che seleziona poesie e prose con il sottotitolo Frammenti dal diario lirico di una pastorella senese. Lo farà tramite la casa editrice Treves, una delle più importanti di allora e in ottica squisitamente fascista l’introduzione di Misciattelli fa riflettere sul lavoro della protetta tutte le sfumature dei temi sentimentali che corredavano quel periodo, scrivendo: “Dina Ferri amava grandemente l’Italia; ebbe fede nella sua vittoriosa ascesa; sentì il fremito superbo di riscossa della gioventù fascista; ammirò Benito Mussolini”. E’ innegabile che sono presenti nel Quaderno del nulla alcuni passi di ingenuo entusiasmo per l’uomo dal “braccio di ferro” e dal “freddo coraggio”, che ovviamente echeggiavano gli insegnamenti della disciplina o dell’obbedienza del convitto e della scuola ma non si può non notare la discrasia fra il suo affettuoso riferimento culturale nel babbo socialista e la convinta dichiarazione del Marchese che in più, sempre nell’introduzione, definisce ingiustamente il padre: “uomo incolto ma di vivida intelligenza”.
A margine di un convegno organizzato da Luigi Oliveto per l’uscita dell’edizione del libro da lui curata nel 1999, Fabio Mugnaini, antropologo dell’Università di Siena, così spiegava la discrasia: “Che la scuola non sia solo il luogo ove si trasfondono semplici abilità di base (neppure quando è scuola rurale, sperduta tra i monti) non sfugge alla pedagogia del regime, che ben presto impegnerà le scuole in un intenso programma di “fascistizzazione”, culminante con il binomio libro e moschetto […]. La scuola che accoglie Dina ha pertanto una missione non meno importante di quella meramente pedagogica e formativa; deve essere la fucina che operi un cambiamento nelle coscienze e nella cultura delle generazioni italiane che crescono”.
Solo due anni dopo l’edizione curata da Misciattelli, nel 1933, uscirà addirittura una traduzione in inglese negli Stati Uniti Notebook of nothing, poi la notorietà si attenua, fino a scomparire. Prima dell’ultima riscoperta. Dopo l’edizione del 1931 e quella in inglese del 1933, solo nel 1974 Edilio Dell’Era, pseudonimo di don Martino Ceccuzzi, sacerdote e poeta senese, curerà un’edizione per l’Istituto Propaganda Libraria di Milano che nel 2016 sarà ristampata in copia anastatica da Edizioni Effigi (pp. 120 euro 12,00). Nel 1999, il senese Luigi Oliveto ne curerà un’altra con corposa appendice critica per Edizioni Il Leccio (pp. 324 euro 14,46). Infine, quest’anno, il “Quaderno del nulla e altri testi” curato da Nicoletta Mainardi e introdotto da Marco Marchi.