Le parole dei conflitti: non solo “bomba” ma anche “spoofing”

Il modo di far guerra cambia sempre assieme alle tecnologie militari. Ecco quelle più recenti che hanno mutato il volto dei conflitti e le loro dinamiche.

Le parole dei conflitti: non solo “bomba” ma anche “spoofing”
Un soldato che indossa uno jammer montato su uno zaino.
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Agostino Forgione Modifica articolo

5 Settembre 2025 - 12.35


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I conflitti ucraino prima e palestinese poi ci hanno fatto familiarizzare con nuovi vocaboli che, sebbene quando si sono diffusi non fossero neologismi, di certo erano oscuri ai più. Si tratta in gran parte di parole relative la cosiddetta guerra ibrida, altra espressione assurta agli onori della cronaca in questi anni, ovvero il tipo di conflitti che oltre alle operazioni militari più canoniche svolte sul campo ne affianca di altre. Tra queste attacchi cibernetici, operate verso i sistemi informatici chiave di un paese, diffusione di fake news rivolte sia ai propri cittadini che a quelli nemici e guerra psicologica.

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La più grande differenza rispetto ai conflitti combattuti prima dell’inizio di questo millennio è infatti proprio il larghissimo uso della cyberwarfare. Con quest’espressione, come già accennato, si intende l’insieme delle operazioni condotte con l’intento di paralizzare o ledere le infrastrutture critiche, rubare informazioni sensibili e influenzare l’opinione pubblica. Nonostante quanto verosimilmente si possa pensare gli esiti della cyberwarfare sono tangibili e lesivi al pari di un bombardamento. Il caso più eclatante, che ha fatto comprendere al mondo quanto possano essere concreti gli effetti di un attacco informatico, risale al 2009, quando per mezzo del worm Stunxnet, un virus informatico creato dal governo americano e israeliano, l’impianto di arricchimento nucleare iraniano di Natanz venne sabotato. Si tratta, per capirci, dello stesso sito bombardato da Israele lo scorso giugno.

Fanno parte delle strategie di cyberwarfere anche il jamming e il gps spoofing, che si sospetta abbiano reso inutilizzabile la navigazione satellitare dell’aereo della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nei giorni scorsi. Il primo consiste in un disturbo delle comunicazioni radio volto a impedire la ricezione e l’invio di segnali come quello gps, wi-fi o cellulare. Il principio di funzionamento è relativamente semplice e si basa sull’emissione di un segnale sulla stessa frequenza del sistema che si vuole disturbare, ma con potenza maggiore. Ciò fa sì che sia impossibile ricevere correttamente il messaggio originale. Un po’ come se in una stanza piccola qualcuno si mettesse a gridare con un megafono, rendendo impossibile conversare per chiunque altro.

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I jammer, ovvero i dispositivi deputati a fare ciò, sono diventati fondamentali per l’esercito ucraino al fine di rendere inoperativi i droni russi e non poter essere comandati a distanza. Il gps spoofing funziona in modo simile. Un trasmettitore terrestre invia a un dispositivo di navigazione un segnale più forte rispetto a quello satellitare, eclissando quest’ultimo. Tale segnale contiene però coordinate sbagliate, che “ingannano” il navigatore facendogli credere di essere altrove rispetto a dove realmente si trova.

I grandi protagonisti dei conflitti più recenti sono tuttavia i sopracitati droni. Gli UAV (Unmanned Aerial Vehicles, trad. aeromobili a pilotaggio remoto) sono fondamentali per missioni di attacco, ricognizione e supporto tattico. Con un costo molto ridotto rispetto ai caccia tradizionali permettono di ridurre notevolmente il rischio umano e al contempo garantiscono una precisione chirurgica nel colpire gli obiettivi. Ne esistono sia di controllati da remoto sebbene negli ultimi anni, grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale, i modelli più recenti possono operare anche in modo completamente autonomo.

Ma in ambito militare le capacità difensive sono importanti tanto quanto quelle offensive. È per tale ragione che negli ultimi mesi si sente parlare spesso di due sistemi di contraerea di ultima generazione, utilizzati da Israele e prodotti dalla Rafael Advanced Defense System. Si tratta dell’Iron Dome e del recentissimo Iron Beam.  Entrambi funzionano per mezzo di un radar che rileva missili e altre minacce in avvicinamento, la differenza è che il primo li intercetta per mezzo di altri missili mentre il secondo ricorre a fasci laser ad alta energia. L’Iron Dome, già ampliamente collaudato, vanta un tasso di abbattimento del ben 90% ed è stato fondamentale per la difesa delle città israeliane. Sebbene l’Ucraina abbia chiesto l’invio di tale sistema al governo israeliano per proteggersi dagli attacchi russi, questi ha rifiutato, preoccupato che potesse finire in mano russa o iraniana.

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