di Marialaura Baldino
È possibile che un disegno vecchio di novanta anni possa rappresentare così bene la realtà? La matita di Mario Sironi ci riesce eccome, anche distanza di così tanto tempo. La tavola in questione ritrae una minuta figura alata incatenata con una bomba sospesa sopra di essa, lasciando però l’osservatore con un quesito: <<Pax Europea?>>. Il disegno però non appartiene alla realtà, bensì alla Storia. Apparve infatti per la prima volta su quella che al tempo del Fascismo veniva considerata come la voce ufficiale del regime: la rivista Gerarchia.
Affascina quindi che una creazione artistica del Novecento riesca a dipingere ciò che sta accendo anche in queste ore in Europa, creando così un parallelismo di immagini che mai avremmo pensato potessero appartenere all’oggi.
Questa tavola e molte altre – più di sessanta – sono state scelte dallo storico dell’arte Fabio Benzi per apparire nella mostra ‘Mario Sironi. La poetica del Novecento’, installata nella Galleria Russo di Roma. A sessanta anni dalla morte dell’artista del regime, Benzi propone una selezione delle più grandi opere di Sironi, appartenenti alle collezioni private di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci. Due figure femminili non solo legate a Sironi, ma che hanno ricoperto particolari e importanti ruoli nell’ambiente artistico di inizio Novecento.
La prima, Margherita Grassini Sarfatti, nota critica d’arte e personalità rilevante nel mondo dell’arte interazionale, fu autrice di Dux, la biografia di Mussolini, con il quale ebbe anche un intreccio relazionale lungo quasi venti anni. Il suo genio artistico la portò a condizionare il mondo dell’arte del suo tempo, creando cosi a Milano il movimento Novecento. Lo stesso Sironi vi aderì, insieme a molti altri artisti ideatori di quello che oggi viene ricordato come il “ritorno all’ordine”; l’idea fondante del movimento stesso, secondo la quale vi fosse la necessità di ritrovare e ritornare alla tradizione artistica di un tempo. Spinti da questa idea, La Sarfatti e Sironi sostennero anche il pensiero di realizzare un’arte di stato. Un pensiero che il Duce non appoggio mai. La sorte che però toccò alla critica d’arte fu quella che toccò all’intera comunità ebraica presente in Italia. Dopo l’emanazione delle leggi razziali nel 1938, fu costretta all’espatrio, per poi tornare in Italia solo nel 1947.
La seconda, Ada Catenacci Balzarotti, anche se meno conosciuta pubblicamente, si avvicinò al mondo dell’arte quando la minaccia di una Seconda guerra mondiale si faceva sempre più concreta. Ebbe rapporti di amicizia con importanti galleristi della Milano di fine anni ’30, ospitando salotti culturali nella sua casa che affacciava sul lago di Garda. Insieme con il marito Giuseppe Balzarotti acquisì dipinti e sculture valenti come investimento alternativo ai titoli esteri che però dal 1935, ne fu vietato il possesso. Nel 1946 acquistò da Sironi stesso 344 disegni creati durante la collaborazione dell’artista con “Il Popolo d’Italia”, l’ufficiale organo di stampa del Regime Fascista. Nonostante il grande valore di questi disegni, l’acquisizione di tali opere venne fatta dalla Catenacci come segno di aiuto nei confronti dell’artista ormai caduto in disgrazia come il regime di cui ne divenne il simbolo. La traccia di quelle opere però andò perduta fino al 2000, dopo la morte di Federico, figlio di Ada.
Quaranta di quei disegni figureranno ora nella mostra alla Galleria Russo.
Il curatore Benzi afferma: ”Il processo intellettuale rappresentato dal disegno assume un ruolo esponenziale rispetto a qualsiasi altro artista contemporaneo: la quantità straordinaria di opere di questo genere che realizzò nella sua vita costituisce un unicum che davvero lascia stupefatti per vastità, coerenza e sforzo progettuale”.
La mostra comprende opere realizzate in un periodo di tempo che va dal 1908 al finire degli anni Cinquanta. Lungo tutto il percorso vengono affiancate opere di diversa fattezza e natura, dagli esordi dell’artista con Paesaggio Urbano – una raffigurazione divisionista, che lo allontana da Giacomo Balla, maestro e amico di Sironi – ad una produzione definita futuristica come La Ballerina, del 1906, fino ad arrivare a opere dei primi anni Venti, che però si distanziano da quelle di Giorgio De Chirico e Carlo Carrà.
Anche Picasso ebbe da dire sulla figura artistica di Sironi, scrivendo: “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”.
Ciò che però segnò la produzione di Sironi degli anni Trenta fu la sua collaborazione all’arte murale e monumentale, di cui si rendono testimoni l’affresco dell’Aula Magna dell’Università la Sapienza, i ritratti a cavallo del Duce e del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, conservati nella penombra, per decenni, a Roma all’interno della Casa del Mutilato.
L’artista-simbolo del Regime morì a Roma nel 1961.
Benzi ha aggiunto anche che gli ideali caduti, il pessimismo post conflitto mondiale portarono Sironi verso “un percorso di una continua interazione tra espressionismo, arcaismo, matericità gestuale e astrazione”.