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Le foreste di pino nero possono sostenre la biodiversità anche fuori dal loro habitat naturale

Lo rivela uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista "Global Ecology and Biogeography", coordinato dall'Ateneo toscano.

Le foreste di pino nero possono sostenre la biodiversità anche fuori dal loro habitat naturale
https://www.unisi.it/unisilife/notizie/studio-internazionale-unisi-pubblicato-su-global-ecology-and-biogeography
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18 Aprile 2025 - 14.14


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Le foreste di pino nero (Pinus nigra) possono sostenere livelli di biodiversità vegetale simili a quelli presenti nelle foreste native anche quando si trovano al di fuori del loro areale naturale. È quanto emerge da uno studio coordinato dall’Università di Siena che ha visto la collaborazione 22 università e centri di ricerca nell’ambito delle attività del National Biodiversity Future Centre (NBFC), con la ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica “Global Ecology and Biogeography”.

I ricercatori hanno preso in esame oltre 1360 foreste di pino nero in tutta Europa e hanno confrontato quelle situate all’interno del loro areale nativo con quelle al di fuori, spesso frutto di rimboschimenti o piantagioni. Gli studiosi hanno scoperto che le condizioni ambientali locali, come la fertilità del suolo e l’umidità, influiscono fortemente sulla composizione della vegetazione, ancor di più dell’origine geografica del pino.

Gianmaria Bonari, coordinatore dello studio e botanico presso l’Università di Siena, afferma: “I nostri risultati mostrano che, se inserite in ambienti adatti, cioè dove non si danneggiano o sostituiscono altri habitat di valore come ad esempio i prati aridi, le foreste di pino nero al di fuori del loro areale originario ma in uno stesso contesto biogeografico possono funzionare in modo ecologicamente simile a quelle native”. Poi aggiunge: “Molte delle foreste oggi considerate ‘fuori areale’ si trovano in regioni dove il pino nero era naturalmente presente durante il Pleistocene, prima che i cambiamenti climatici e il secolare impatto umano sul paesaggio europeo ne restringessero l’areale. Questo indica che tali formazioni secondarie potrebbero rappresentare una sorta di ‘ritorno’ in habitat storici. Una situazione ben diversa da quella delle piantagioni con specie esotiche, come gli eucalipti, introdotte da altri continenti. È un esempio chiaro di quanto sia fondamentale conoscere la biogeografia delle specie: non tutte le piantagioni, infatti, hanno lo stesso valore ecologico”.

Dalla ricerca emerge che alcune piantagioni, nonostante siano spesso trascurate nelle strategie di conservazione, possono offrire habitat importanti per molte specie vegetali. Lo studio si inserisce nelle attività dello Spoke 3 del National Biodiversity Future Centre (NBFC) dedicato all’analisi degli ecosistemi terrestri, coordinato dal professor Francesco Frati dell’Università di Siena. Quest’ultimo spiega: “La biodiversità resta in gran parte sconosciuta, anche in ambienti apparentemente familiari come le piantagioni. Il lavoro dei ricercatori e delle ricercatrici del NBFC è cruciale per comprendere appieno i processi ecologici e progettare strategie di gestione e conservazione realmente efficaci che ci aiutino a mantenere la biodiversità passata e presente e a preservarne il valore in termini di servizio ecosistemici”.

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