di Manuela Ballo
Gli allarmi ignorati e la corsa ai ripari, vanificata nei suoi effetti, dai ritardi accumulati. E’ il meccanismo che caratterizza la risposta insufficiente e inefficace all’emergenza pandemica, da parte dell’Italia in particolare, ma non solo. Gli elementi di questa strategia perdente sono raccontati da Daniele Magrini nel suo libro Il potere del virus (Effigi editore, 2021, pgg.250, 15 euro) appena uscito, attraverso una fitta trama di documenti e dati oggettivi. Il volume, che è un’accurata inchiesta sui fatti e gli antefatti dell’epidemia da Covid-19, fa emergere inefficienze diffuse e incongruenze che hanno radici non legate ai giorni dell’assedio pandemico, ma che ne hanno favorito gli esiti drammatici.
Per esempio: nonostante un Piano Pandemico fantasma fermo al 2006, l’Italia nel febbraio 2020 dichiarava il livello più alto di preparazione contro l’epidemia da Covid-19 nel report presentato all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma proprio l’Oms è l’emblema dell’inerzia, tanto più colpevole perché consapevole, come documenta il rapporto annuale del Global Preparedness Monitoring Board, commissione istituita da Banca Mondiale e OMS, proprio per prevenire le pandemie, che nel 2018 aveva lanciato l’allarme. Il libro del giornalista e scrittore ne riporta un brano che è a dir poco inquietante, di fronte all’ecatombe in cui siamo ancora immersi: “Il mondo non è preparato ad affrontare una eventuale pandemia, che farebbe in poco tempo decine di milioni di vittime mettendo a rischio anche l’economia. Tra il 2011 e il 2018, si legge, l’OMS ha registrato 1483 epidemie nel mondo in 172 paesi, comprese quelle di Ebola e della Sars, molte delle quali hanno devastato i paesi colpiti. Se emergesse un virus o un batterio della pericolosità dell’influenza spagnola del 1918, hanno calcolato gli autori del rapporto, si diffonderebbe in tre giorni in tutto il mondo, facendo 80 milioni di vittime e provocando una riduzione del Pil mondiale del 5%. Per troppo tempo – si legge nel Rapporto – abbiamo permesso un alternarsi di panico e di trascuratezza nei confronti delle pandemie: aumentiamo gli sforzi quando c’è una minaccia seria e poi li dimentichiamo quando il pericolo passa. Ora è tempo di agire”. Invece non si è agito con la dovuta efficacia e tempestività.
Non lo ha fatto nemmeno la Global Health Security Agenda, l’agenzia internazionale per la prevenzione delle epidemie, nata nel 2014 e subito presieduta per sei anni dall’Italia. Con scarsi risultati. E perché in un mondo così tecnologicamente avanzato non è scattato l’allarme digitale? Nel libro si offrono spunti per capire come la pandemia sia dilagata approfittando di colpevoli inefficienze diffuse e impegni internazionali disattesi, mentre emergono le nuove guerre fredde basate sui vaccini. Cina e Russia in particolare sono protagoniste di un vero e proprio colonialismo sanitario: portando vaccini nei Paesi che ne sono privi, acquisiscono egemonia geopolitica. L’Europa, in tutto questo, pur centrando l’obiettivo della committenza unica, ha sbagliato troppo ed è apparsa in posizione di eccessiva sudditanza nei confronti dei colossi produttori di vaccini.
L’Italia soffre particolarmente questa condizione, perché da decenni ha smantellato un settore dove esprimeva invece eccellenza e know-how. Nel libro si riportano gli allarmi che pure erano stati lanciati di fronte allo smantellamento del polo produttivo dei vaccini. Ma rimasero inascoltati. E ora la dipendenza vaccinale è problema di sicurezza nazionale.
Il libro di Daniele Magrini analizza i tratti peculiari del naufragio italiano – attenuato solo dall’eroismo di medici, infermieri, operatori sanitari – di fronte al Covid-19: la strage della generazione che aveva ricostruito il Paese nel dopoguerra; il primo lockdown generalizzato e non localizzato come aveva invece indicato il Comitato Tecnico Scientifico; i verbali secretati e le catastrofiche previsioni matematiche; la guerra tra Governo e Regioni nonostante la Costituzione attribuisca allo Stato il contrasto alle epidemie; la scuola nel caos; banche e burocrazia a frenare gli aiuti economici; gli algoritmi opachi a indirizzare i livelli territoriali di rischio; i nuovi conflitti tra garantiti e non garantiti; le nuove povertà e le nuove disuguaglianze.
In questo quadro il racconto mediatico, così come analizzato nel volume del giornalista, ha finito per essere caratterizzato soprattutto dalle sfide televisive tra virologi ed epidemiologi. Gli esperti, salvo illuminate eccezioni, hanno occupato i posti dei politici nei talk show ma con la stessa inconsistente carica divisiva, poco attinente ad una lettura scientifica della tragedia in atto. Ne è scaturita una sorta di macchina mediatica del panico. Molto più incisive sono state tante inchieste giornalistiche in tv e sulla stampa. Anche sui social, tante pagine di approfondimento, talvolta organizzate anche da esperti internazionali, hanno contribuito ad arginare l’infodemia dilagante.
Nelle conclusioni il libro affronta il rischio della paura permanente, ma anche la possibile convivenza con il virus, grazie ai vaccini, e il ritorno ad una vita diversa da prima, ma vissuta secondo il libero arbitrio: “Non si può smettere di vivere per paura di morire”, scrive Magrini, “altrimenti – come scrive José Saramago in Cecità, che l’autore riporta a conclusione de Il potere del virus – la cecità proseguirà anche quando i contagi finiranno e il delirio apocalittico cederà campo alla vita di tutti i giorni, ovvero un’infinita quarantena in cui non riusciamo a vedere oltre il naso”.