Di Lorenzo Lazzeri
Era un’Italia diversa, quella che sfogliava giornali sotto i portici o leggeva romanzi nel silenzio della sera. La carta, con il suo odore penetrante e quella capacità di assorbire i pensieri di chi scriveva e di chi leggeva, era un pilastro di una società che ancora sapeva prendersi il tempo per riflettere. Oggi, invece, viviamo in un universo dominato dal ritmo incessante del digitale, dove un libro non è più soltanto un libro, e le notizie si perdono in un mare di notifiche e feed infiniti.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Come ha fatto l’Italia, patria di poeti e navigatori dell’anima, a trasformarsi in una terra dove più della metà della popolazione non legge nemmeno un libro all’anno?
Prendiamo in mano i numeri, che sono freddi, crudi, ma rivelatori. Nel 2024, il 48,3% degli italiani ha letto almeno un libro nell’anno trascorso, un dato che sembrerebbe positivo, se non fosse il canto del cigno di un’abitudine che si sta lentamente spegnendo. Nel 2007, questa percentuale era del 59,4%. Quindici anni fa, più di sei italiani su dieci leggevano. Oggi, quel numero si è ridotto drasticamente. È vero, c’è stato un piccolo sussulto durante gli anni bui della pandemia, quando le mura domestiche hanno riportato tra le mani dei più giovani i libri abbandonati sugli scaffali. Ma si è trattato di una fiammata breve, incapace di invertire la rotta.
Eppure, la storia non è solo quella di un declino. È anche quella di un’evoluzione. Gli italiani leggono meno, è vero, ma leggono anche in modo diverso. I fumetti e le graphic novel, che un tempo erano relegati a una nicchia, ora trovano un pubblico crescente, soprattutto tra i giovani. L’8% degli italiani sopra i 14 anni li ha letti nell’ultimo anno, con una netta prevalenza maschile. È un segnale: forse le generazioni più giovani cercano altre forme di narrazione, più visive, più immediate.
Poi ci sono gli audiolibri, un fenomeno che sta iniziando a farsi strada anche qui, nella nostra Italia lenta ad accogliere le innovazioni. Solo il 5,3% li ascolta, ma la loro ascesa è inevitabile in un mondo che ama camminare con gli auricolari nelle orecchie, dove la parola scritta si trasforma in voce per accompagnare chi corre, guida o cucina.
E che dire del modo in cui ci informiamo? È qui che si vede il vero cambio di passo. Nel 2010, la televisione era regina incontrastata. Oltre l’80% degli italiani si informava davanti al piccolo schermo. Oggi, quel numero è sceso al 65%, e tra i giovani sotto i trent’anni è ancora più basso. La stampa, dal canto suo, ha subito un tracollo drammatico: gli edicolanti, figure quasi mitologiche della vita cittadina, stanno scomparendo a ritmo vertiginoso.
Al loro posto, sono arrivate le piattaforme digitali. Smartphone in mano, gli italiani scrollano le notizie sui social media: Facebook per i più anziani, TikTok per i più giovani, Instagram per chi sta nel mezzo. Più del 70% degli italiani è attivo sui social, ma solo una minoranza legge articoli completi. La maggior parte si ferma ai titoli, ai video brevi, ai frammenti. Non c’è tempo, sembra. Eppure, mai come oggi abbiamo accesso a un oceano di informazioni.
C’è però un paradosso in tutto questo. L’Italia è una nazione che legge poco, eppure scrive moltissimo. Sui social, chiunque può essere un narratore, un cronista, un opinionista. È una democrazia della parola che affascina e spaventa. Il rischio è che, in questa giungla di contenuti, si perda il valore del pensiero critico, della riflessione profonda che solo la lettura di un buon libro, o di un lungo articolo, può offrire.
E le generazioni? Ah, le generazioni. È qui che il contrasto si fa più netto. I giovani, quelli nati con uno schermo in mano, vedono il libro come un oggetto quasi esotico. Lo smartphone, con la sua luce blu e le sue app irresistibili, è il loro portale verso il mondo. Gli anziani, invece, restano fedeli alle loro abitudini: giornali al bar, TV accesa per il telegiornale delle otto. Ma anche loro, piano piano, stanno cedendo al fascino del digitale.
E così l’Italia cambia, si evolve, ma non senza rimpianti. Perché ogni volta che un’edicola chiude, o una libreria abbassa le serrande, è un pezzo della nostra storia che se ne va. Eppure, c’è speranza. Nei mercatini dell’usato, i libri continuano a passare di mano in mano. Nei gruppi online, le comunità di lettori crescono. E nei parchi, qualcuno, ancora oggi, si ferma a leggere.
Forse, in fondo, non è la lettura che sta morendo, ma solo il suo modo di manifestarsi. La sfida, per noi italiani, è capire come fare convivere la saggezza del passato con le opportunità del futuro. Non sarà facile, ma vale la pena provarci. Perché, come diceva Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. E forse, lo stesso si può dire del nostro popolo.