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Il corallo arancione torna a Bagnoli grazie a uno studio che cambia la strategia di restauro costiero

Il trapianto sperimentale di Astroides calycularis nel SIN Bagnoli-Coroglio, condotto dal progetto ABBaCo, mostra sopravvivenza, crescita e riproduzione in un fondale segnato da arsenico e IPA. Un esito che modifica tempi e priorità della rigenerazione ambientale.

Corallo arancione - Il prima e il dopo a 4 anni di distanza sul fondale inquinato da idrocarburi, arsenico e metalli pesanti.
Immagine dallo studio. Il prima e il dopo a 4 anni di distanza sul fondale inquinato da idrocarburi, arsenico e metalli pesanti.
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5 Dicembre 2025 - 18.52


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di Lorenzo Lazzeri

Il litorale di Bagnoli conserva i segni di decenni di attività siderurgica senza controllo. Metalli pesanti e idrocarburi hanno compromesso i sedimenti ben oltre la chiusura degli impianti. Dal 2001 l’area è classificata SIN (Sito di Interesse Nazionale) e la balneazione è vietata. In questo scenario il progetto ABBaCo, guidato dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn e sostenuto dal National Biodiversity Future Center, ha verificato se la madrepora arancione (Astroides calycularis) potesse reinsediarsi dove era scomparso dalla metà del Novecento.

L’intervento ha evitato raccolte invasive, facendo in modo che le 88 colonie trapiantate provenissero da frammenti naturalmente distaccati nei fondali del Golfo di Napoli. Fissate nell’area marina del SIN, sono state monitorate per quattro anni. La sopravvivenza di circa il 30% non indica fragilità, ma è parte di un processo di selezione. Le colonie che superano i primi mesi tollerano il carico tossico dei sedimenti. È su queste che si concentra il risultato con il raddoppio dei polipi, triplicazione della superficie occupata e ripresa dei processi aggregativi che costruiscono strutture tridimensionali utili alla biodiversità.

Il dato più rilevante è la riproduzione. La nascita di nuove colonie mostra che il corallo non si limita a persistere, ricostruendo nuove comunità. In un SIN non ancora bonificato, questo stabilisce un precedente perché alcune specie chiave possono contribuire alla rigenerazione prima del completamento degli interventi ingegneristici. Ciò riduce l’attesa biologica che segue le bonifiche pesanti.

La mortalità del 70% è parte del disegno e agisce come filtro ecologico in un ambiente fortemente ostile e ciò che resta è una popolazione forte e capace di riprodursi sotto una contaminazione cronica. Da più punti di vista, questa situazione apre alla possibilità di selezionare popolazioni robuste, utili per altri tratti mediterranei degradati.

Il caso di Bagnoli non risolve il problema principale, perché senza dragaggio e rimozione della colmata a mare, l’inquinamento resta, lì sepolto, come un ordigno pronto ad esplodere. Il progetto ABBaCo non lo elude, ma ci dimostra che interventi biologici possono precedere e sostenere quelli ingegneristici. Gli indicatori chimici non bastano a definire quando un ecosistema può ripartire; servono indicatori biologici e A. calycularis è uno di questi.

Si ricorda che il ritorno del corallo arancione non equivale a una bonifica compiuta per coloro che vogliano tornare a bagnarsi in quelle acque. Quello descritto è un esperimento che si limita a definire un metodo, a dimostrare che un ecosistema può riattivare funzioni essenziali quand’è guidato da interventi mirati. Si tratta di un cambio di prospettiva, di strategia nella rigenerazione di Bagnoli che passa da un futuro indefinito a un recupero che può già iniziare.

La ricerca, portata avanti grazie al National Biodiversity Future Center (NBFC) è finanziata dal PNRR ed è qui disponibile.

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