Più passano le ore e più emerge il prodotto politico e diplomatico della forma di comunicazione scelta. L’incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump in Alaska ha avuto il sapore di una rappresentazione teatrale: due protagonisti sul palcoscenico, un pubblico mondiale in ascolto, e degli assenti messi di proposito dietro le quinte.
L’incontro notturno tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska è apparso come un messaggio simbolico, accuratamente confezionato in termini di comunicazione politica. Non è un caso che sia stato scelto proprio il territorio comprato dagli Stati Uniti dalla Russia imperiale nel 1867.
La forma, in questo caso, è sostanza. Il meeting non ha prodotto documenti ufficiali, né dichiarazioni programmatiche. Gli accordi silenziati nella conferenza stampa finale e il peso delle immagini di due leader fianco a fianco, in una terra di confine simbolica, ha rappresentato il vero contenuto del messaggio. Una comunicazione non verbale, ma potentissima: le grandi decisioni non passano da Bruxelles, da Londra o da Pechino e nemmeno da New York (Onu) ma da chi siede al tavolo dell’Artico.
Il messaggio implicito è tanto chiaro quanto crudele: l’Unione Europea e il Regno Unito sono stati puniti con l’assenza. Hanno seguito fino in fondo la linea di Joe Biden sulla protezione dell’Ucraina, ed ecco la risposta: esclusione, marginalizzazione, silenzio. Ma c’è di più. Anche la Cina, il grande convitato di pietra della geopolitica contemporanea, è rimasta fuori dalla scena. Un segnale sottile: i rapporti di forza si vogliono ridisegnare senza bisogno di Pechino?
Trump e Putin hanno usato l’Alaska come linguaggio scenico. Un lembo di terra che ancora oggi evoca la storia delle rivalità e degli scambi tra le due potenze. Un territorio che storicamente lega i due Paesi e che comunica, a livello simbolico, una sorta di diritto esclusivo a decidere del destino di equilibri mondiali. Un palcoscenico ideale per ribadire che il dialogo Mosca–Washington resta una prerogativa dei leader stessi, senza intermediari.
Dal punto di vista comunicativo, il valore di questo incontro aldilà dei contenuti e dei risultati conta per la forma utilizzata: la messa in scena del bilaterale come spettacolo globale, l’uso del luogo come codice politico, il silenzio finale che contraddice tutti i gesti iniziali.
Così, mentre in Alaska Trump stendeva un tappeto rosso all’autocrate di Mosca, applaudiva al suo incedere dondolante, stringeva continuamente le sue mani e scambiava improvvisi sguardi e sorrisi d’intesa, quello che emerge con prepotenza è soprattutto la riabilitazione del leader di Mosca che si riprende il palcoscenico geopolitico dopo anni di oscuramento.
Il sottotesto è chiarissimo: cara Europa, hai scelto di proteggere l’Ucraina, ora pensaci tu a sciogliere i nodi della guerra.