Una volta mandata fuori la parola vola via irreparabile. Lo scrive Orazio, in latino naturalmente (“Semel emissum volat irreparabile verbum”). Vanno come figure alate e creano senso comune: destini personali e sociali o il successo di alcuni stili di vita, o il prevalere di una cultura o di una politica. Creano un sistema di valori e di pratiche al quale ciascuno di noi, spesso inconsapevolmente, fa riferimento. Così fu nell’Italia fascista; così nella breve e decisiva stagione dell’unità antifascista che ci ha portato in dono la nostra bella Costituzione, così fu nel paese dominato dalle due sub culture – quella cattolica e quella comunista, quando ogni gesto e ogni parola in quella stagione segnava un’appartenenza.
Le parole della politica, anzi la stessa comunicazione politica, ha usato poi le parole della pubblicità e del marketing nell’era televisiva, e più in generale, ha seguito la logica e l’evoluzione del sistema mediale. Fino allo storytelling, che altro non è che un modo di raccontare la vita dei leader e dei partiti più adatto agli agili mezzi dell’ambito digitale. E poi i talk che hanno portato definitivamente anche la politica nella sfera della informazione-intrattenimento. “Il fenomeno della comunicazione politica – ha notato Sara Bentivegna – è entrato prepotentemente nella vita degli italiani, al punto di segnare l’idea stessa di politica”.
Tutto si può dire della linea intrapresa dal nascente governo italiano tranne che sia anonima o neutrale. Le parole scelte per denominare i ministeri, il linguaggio usato dalla leader nei comizi e, anche, nei discorsi ufficiali, indica un modo di parlare e di scrivere che si rifà al sistema valoriale della destra italiana. Di quella storica. E di quella più recente, emersa con il protagonismo dei nazionalismi che hanno raccolto il consenso di quelle frange di società e di quelle forze politiche che hanno digerito male le spinte di una globalizzazione che, troppo spesso, ha prodotto crisi e lacerazioni negli stessi sistemi democratici. Compresi quelli storici: guardiamo alla storia recente degli Usa e della Gran Bretagna. Questa fase della globalizzazione è stata, conseguentemente, percepita come un sistema privo di valori. La destra ha trovato un suo lessico. La sinistra è stata muta e non ha trovato le parole adatte a capire e far capire questa fase di sconvolgimento storico.
Il nuovo linguaggio si affermerà come un prontuario d’una fase di passaggio o diventerà una lingua d’uso comune e di una pratica generalizzata? Lo dirà il tempo. Intanto abbiamo voluto, come Culture Globalist, tastare il polso ai giovani studenti e studentesse della redazione di declinare a loro modo, senza paraocchi ideologici, le parole che compongono questo inedito glossario. Eccole.