di Luisa Marini
“Io sono come le bestie, sento il tempo che viene…”. In questa frase chiave c’è tutta l’animalità, la furbizia, la giustificazione menzognera del Mussolini messo in scena nella serie in onda su Sky. “Il tempo che viene” può tornare in ogni momento: il personaggio richiama prepotentemente Trump e in generale tutti i dittatori di ieri e di oggi. Il registro usato per la scrittura del personaggio è quello sottile della familiarità, che provoca un misto di empatia e condanna nello spettatore.
Al di là di qualsiasi opinione si possa avere su questo film, che comunque sta facendo notizia e dividendo l’opinione pubblica, l’operazione è sicuramente interessante perché mette gli spettatori prepotentemente di fronte a una richiesta di attenzione sul fascismo, che ancora oggi divide politicamente e culturalmente (un esempio per tutti, le polemiche legate alla mostra sul Futurismo in corso alla Gnamc di Roma).
La domanda che ci facciamo è: questa serie può essere uno stimolo per i giovani ad approfondire questo particolare periodo storico e al contempo la cultura coeva. Abbiamo cercato risposte da due insegnanti della scuola secondaria, Francesca Erriu Di Tucci e Anna Cherubini, entrambe anche scrittrici di libri letti e amati da un pubblico giovane e da Viviana Gravano, curatrice e storica dell’arte.
Dalla conversazione con le prime due è risultato che il coinvolgimento delle nuove generazioni sul tema della memoria storica e culturale del nostro paese dipende da molti fattori. I giovani sono in generale dipinti come disinteressati, anche se questa parrebbe essere una visione parziale: in tutte le epoche ci sono stati giovani impegnati e giovani apatici, e ancora oggi, spesso, questo dipende da fattori sia interiori, quali la curiosità e il carattere, che esterni, come le condizioni sociali e di ambiente e il tipo di scuola frequentata. Ci dice Francesca: “Per stimolare il loro pensiero critico, cerchiamo di affrontare certe tematiche ma io non lo faccio in maniera diretta, per esempio preferisco partire da un testo che possa portare a discutere e riflettere su eventi passati e poi sul presente”.
Emerge anche che Il confronto con i coetanei degli anni 60-80 pende significativamente a favore di questi ultimi per curiosità e impegno politico. L’edonismo anni 80 non è neppure lontanamente confrontabile con l’individualismo di oggi, e paradossalmente i problemi di socializzazione e solitudine, se non di vera e propria sofferenza mentale, che interessano attualmente molti giovani, sono peggiorati sensibilmente, nonostante la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione interpersonale che ne ha aumentato la complessità.
“Purtroppo, penso che i ragazzi dalla scuola non siano molto coinvolti su tematiche importanti. – argomenta Anna – Per dire, mia figlia frequenta l’ultimo anno di liceo classico, e in classe non hanno detto una parola su Cecilia Sala”. Le nostre interlocutrici sono concordi anche sul fatto che i ragazzi difficilmente parlano spontaneamente di alcuni argomenti e che abbiano bisogno di uno stimolo a farlo, ma che ancora troppo pochi sono gli insegnanti illuminati che, accanto a quelli più tradizionali, utilizzano i mezzi multimediali come strumento didattico per introdurre argomenti di studio e discussione in classe, tra i quali possiamo ormai inserire le serie di argomento storico. In genere però, nel momento in cui sono coinvolti e interessati, i ragazzi fanno domande e cercano di crearsi una propria idea.
Interessante la riflessione che ci offre la terza interlocutrice, Viviana Gravano, che ha affrontato l’argomento nel suo ultimo libro Di-scordare. Ricerche artistiche sulle eredità del fascismo in Italia edito da DeriveApprodi:
Viviana, nel tuo libro affronti proprio il periodo fascista e la sua permanenza nella memoria attuale. Cosa ci dici rispetto alla percezione e all’interesse che ne hanno le nuove generazioni?
“La questione della trasmissione delle eredità difficili della storia italiana alle nuove generazioni è diventato un tema fondamentale. Un po’ di anni fa la studiosa Marianne Hirsch coniò il termine postmemory generation per indicare quelle generazioni che ormai non hanno più nessun legame familiare, quindi diretto, con le vittime o con i testimoni di quel tempo; dunque, dobbiamo cominciare a pensare che quella memoria deve trovare anche nuovi linguaggi e modalità per essere in qualche modo recuperata e resa rammemorabile per il futuro attraverso le nuove generazioni. Mi sembra sempre molto complesso dire in maniera superficiale che i ragazzi e le ragazze attuali non si interessano più di queste cose, che non sono più legate al loro vissuto”.
E quindi?
“La realtà è che queste cose cominciano ad avere distanze di tempo importanti come praticamente un secolo ormai, abbiamo appena celebrato il secolo della marcia su Roma; dunque, dobbiamo capire che non possiamo dare per scontato che la nostra adesione e il nostro senso empatico verso quegli episodi resti uguale dopo tanti anni e appunto dopo che quel legame, anche diretto, che c’era con quella memoria non c’è più. Dobbiamo provare più che a parlare ad ascoltare, perché quella memoria in realtà è viva in molte forme di resistenza attuali, in molte questioni che si affacciano nel mondo contemporaneo, e che ai ragazzi e alle ragazze interessano molto, una per tutte il forte machismo, la violenza contro le donne, che sono tutte caratteristiche legate a un modello maschile di mascolinità tossica nata sicuramente in quegli anni o comunque consolidata, che ha iniziato ad avere un’iconografia ben precisa”.
Rispetto a questo che dici, il grande successo del film della Cortellesi può essere letto in questa chiave, perché, parlando del passato dove era presente e consolidata una certa dinamica relazionale tra i sessi, aiuta a identificarlo e ne rafforza il riconoscimento e il rigetto nella società contemporanea.
“Sì. Anche l’atteggiamento verso la natura, che ovviamente nel fascismo ha avuto una precisa connotazione, anche se può apparire come un dato superficiale e invece non lo è affatto, perché un certo atteggiamento violento anche nel concepire il rapporto con la natura, con lo spazio in generale appartiene sempre a quel tempo. L’Italia è cosparsa ovunque di tracce del fascismo che noi abbiamo innocentizzato, come se fossero dei piccoli fantasmi che continuano a vagare per le nostre strade ma che di fatto non portano più nessun dubbio. Ovviamente questo è sbagliato perché quello che fa sempre un pensiero autarchico, dittatoriale, un pensiero violento è quello di insinuarsi piano piano nella vita quotidiana, nelle piccole cose, essere come dei frammenti che ci continuano ad entrare sottopelle, ad esempio un liceo che mantiene all’ingresso le parole che inneggiano al Duce. Tutto questo produce un’incapacità di affrontare e rileggere quel periodo storico”.
Quale è l’impegno da chiedere alle nuove generazioni per contrastare l’involuzione già in atto nella società di oggi?
“Vogliamo chiedere ai giovani la capacità di rileggere quel tempo quando noi stessi non abbiamo fornito nessuno strumento, anzi abbiamo fatto finta che quel tempo sia finito lì. Poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale la maggior parte dei funzionari politici e culturali sono tornati ai loro posti come se niente fosse, anche se avevano firmato il manifesto della razza o avevano avuto la tessera del partito fascista con grande convinzione; quindi, non stupiamoci se i neofascismi italiani non sono mai finiti, anzi sono iniziati subito dopo la guerra e oggi sono quanto mai forti ed evidenti”.
Ma il fascismo ha prodotto cultura?
“Per tanti anni abbiamo pensato che il fascismo non abbia prodotto cultura perché immaginare che una cultura con valori sbagliati eticamente, violenti volesse dire che non c’era una cultura ha fatto sì che noi non abbiamo combattuto quella cultura. La cultura fascista esiste eccome, produce valori fortemente conservativi, razzisti, classisti, assolutamente violenti, ma proprio per questo riesce ad attrarre ancora delle persone perché è una cultura, è qualcosa che costruisce un immaginario, produce delle visioni che diventano oggetto di identificazione per una parte della popolazione italiana”.
Si può concludere che oggi il dibattito, in questo caso sulla serie interpretata da Luca Marinelli, è prepotentemente presente, oltre che sulla stampa, sicuramente seguita da un target più agée, sui social, che nei tempi attuali sono diventati il canale informativo e di discussione primario, di cui i giovani, e non solo, sono i principali utilizzatori. Di questo, comunicatori e uffici stampa sono ben consapevoli, adottando strategie di marketing mirate che appunto passano principalmente dai canali social.
Ma non basta: un confronto circostanziato e di qualità andrebbe sollecitato sia in famiglia che a scuola.