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57 anni fa moriva Martin Luther King

Il movente dell’assassinio rimane ancora un mistero. Ecco le tappe fondamentali della vita dell’attivista, insignito del Nobel per la pace.

57 anni fa moriva Martin Luther King
Martin Luther King Jr.
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6 Aprile 2025 - 16.14


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Di Caterina Abate

Il 4 aprile 1968, al Lorraine Motel di Memphis in Tennesee, moriva assassinato Martin Luther King, trapassato da una pallottola sparata da un fucile da caccia da James Earl Ray. A oggi il movente che ha mosso la mano del suo assassino rimane ancora un mistero.

Ad animare l’allora 39ene King erano i principi non violenti di Ghandi e una profonda fede cristiana (era pastore battista), che lo spinsero ad abbracciare, diventandone simbolo e martire, la lotta non violenta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti. Un Paese che negli anni ’50 era ancora profondamente segregazionista.

Le leggi su cui si basava la segregazione erano state istituite nel 1896 ed avevano come principio fondante l’assunto ‘separati ma uguali’. Queste prevedevano, tra l’altro, un eguale principio di tassazione per i neri rispetto ai bianchi ma un ridotto accesso ai servizi per i primi, relegando questi a una situazione di subalternità e sottomissione. Nel 1955 il celebre rifiuto di Rosa Parks a cedere il proprio posto in bus a un bianco diede il la alla cosiddetta protesta non violenta degli autobus a Montgomery, durata 381 giorni e di cui King fu uno degli ideatori. Ciò avvenne quando questi aveva 26 anni ed era già uno dei leader del movimento, riuscendo a far virare le modalità di protesta dei cittadini neri sul versante non violento.

“Per tutta la mia vita adulta ho deplorato la violenza e la guerra come strumenti per raggiungere soluzioni ai problemi dell’umanità. Sono fermamente impegnato nel potere creativo della non violenza come forza in grado di ottenere una fratellanza e una pace durature e significative” sono le parole tratte dalla sua autobiografia.  Ma le capacità oratorie di King, corroborate dal grande carisma che lo caratterizzava, ci hanno lasciato molte altre parole di uguaglianza e non violenza oltre che grandi conquiste per gli afroamericani.

Nel 1964 arrivò a vincere il Nobel per la Pace, nello stesso anno in cui venne abolita la segregazione razziale grazie al Civil Right Act firmato da Lyndon B. Johnson, divenuto presidente dopo l’assassinio di John F. Kennedy. L’anno seguente Johnson firmò anche il Voting Right Act, con cui si sanciva il pieno diritto dei neri a votare. Dopo tali battaglie King si espresse contrario alla guerra in Vietnam, reputandola una delle cause di povertà della componente nera della cittadinanza americana e definendo gli Stati Uniti “the greatest purveyor of violence in the world today” (i più grandi fautori di violenza nel mondo).

Nello stesso discorso, conosciuto come ‘Beyond Vietnam’, si espresse contro il capitalismo e l’imperialismo americano, auspicando una rivoluzione dei valori morali dello stato. Dalla morte di King sono passati 57 anni e la recente storia degli Stati Uniti ha visto anche un presidente nero eletto per due mandati consecutivi. La questione razziale, tuttavia, non sembra essere risolta, sia a livello di disparità economiche, di possibilità sociali, culturali che nel rapporto con le forze dell’ordine.

Ogni terzo lunedì di gennaio si celebra il Martin Luther King Day, in ricordo della sua nascita avvenuta il 15 gennaio 1929. Una data che quest’anno, ironicamente, è coincisa con l’insediamento alla presidenza di Donald Trump per il suo secondo mandato. Visti i temi che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale (ma anche in considerazione dell’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021) il governo Trump ha infatti più volte dimostrato di non voler lavorare alla risoluzione delle discriminazioni delle minoranze, comprese quelle etniche.

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