di Giada Zona e Arianna Scarselli
Continua l’evento organizzato dall’Università di Siena e dalla rete “Antropologə per la Palestina”. Inizia con un’assemblea all’aperto presso lo Spazio Livi (ex Corte Dei Miracoli) di Siena che è riuscita a unire anime diverse: vi erano ricercatori, ricercatrici, docenti, membri di associazioni e comitati. Il primo ad intervenire è Osvaldo Costantini, docente di antropologia alla Sapienza di Roma, che ha coordinato l’assemblea. Costantini ci invita a riflettere sulla necessità di far convergere le lotte e pone l’attenzione su alcune logiche, come il definanziamento delle università e la svendita della produzione dei saperi ai privati, dinamiche che appartengono alla concezione neoliberale della nostra società. Bisogna ragionare a partire dalla militarizzazione delle università e dal controllo sulla produzione dei saperi, oltre che ai modi di fare ricerca. Infine, secondo il professore Costantini dobbiamo domandarci quali siano le forme di organizzazione da attuare.
Interviene poi Mariam el Ayadi, studentessa universitaria del “Comitato con la Palestina Siena”. “Con” la Palestina e non “per”, poiché l’obiettivo è quello di sostenere il popolo palestinese, anche attraverso gli strumenti che la Palestina stessa ha messo a disposizione. El Ayadi ha sottolineato il potere del BDS, il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni nei confronti dell’entità sionista. Successivamente ha raccontato quella che ritiene una delle esperienze più significative vissute dal Comitato, ovvero l’acampada che li ha messi in contatto con un movimento studentesco globale e un contesto più ampio, permettendo loro di confrontarsi e conoscere anche persone palestinesi. La riflessione sulla Palestina ha permesso agli studenti di approfondire anche le condizioni attuali in cui versa l’università.
Successivamente interviene Samuele Picchianti, membro dell’associazione studentesca Cravos. Picchianti ribadisce la necessità di una pressione sociale e di una rinnovata attenzione sul lavoro dell’università. “La politica deve ripartire dai problemi che la gente vive e sente vicini, a partire dalla ricerca, dal diritto allo studio, dalla precarietà lavorativa, dalla sanità”. Picchianti parla di come la ricerca venga svenduta ai privati e alle aziende belliche, affermando come negli ultimi mesi abbiamo assistito alla caduta della facciata ipocrita del “dual use” (’impiego della ricerca civile a scopi militari) ma anche alla preoccupante rivendicazione di una fantomatica necessità di ricerca in campo militare. Per questi il problema non è il ricercatore che prende i soldi dal privato o da enti legati allo sviluppo di armamenti ma il sistema che lo costringe a fare ciò. Serve una ricerca pubblica di tutti, afferma, e non asservita alle aziende o alla guerra.
“Per rilanciare il tessuto produttivo nazionale che è stato distrutto dalle politiche degli ultimi decenni si è scelto di produrre armi, di armare l’Europa, ma che società stiamo costruendo così?” Così Picchianti conclude il suo intervento e la parola passa a una ricercatrice di Unistrasi della Rete RUP. Lei sostiene che il boicottaggio deve vedere l’interruzione degli accordi in corso e l’ostacolo a stringere accordi futuri. Avendo come esempio la grande partecipazione riscontrata per lo Stop Genocide Day di novembre, ha ripetuto l’importanza di essere uniti, studenti, pta e docenti di tutti gli atenei. “C’è bisogno di mobilitazioni nei singoli atenei e poi anche a livello complessivo”. Una mobilitazione volta a escludere Israele dai fondi europei.
La parla passa a Edoardo Curcio (UniBo, USB) che sottolinea l’importanza della lotta per ottenere e difendere i nostri diritti. Spesso le persone non sono consapevoli degli accordi militari negli atenei e la militarizzazione viene mascherata come collaborazione. Lottare contro il riarmo e contro la presenza della guerra nei luoghi di lavoro: è questo il principale messaggio trasmesso da Edoardo. L’intervento seguente è di Leonardo, membro di “Cambiare Rotta”, un’associazione giovanile comunista. L’attenzione si sposta sulla natura aziendalistica dell’università e la mercificazione della conoscenza. Tutte le istituzioni, comprese quelle formative, appaiono oggi piegate al nostro sistema economico e ideologico. La scuola è diventata, quindi, luogo di selezione di classe e non è più un laboratorio di saperi.
In seguito si esprime Bahia Hakiki, neurologa e docente all’università di Firenze nonché membro della rete “sanitari per Gaza”, nata nel dicembre del 2023. Questa rimarca come ci siano state tante campagne di sensibilizzazione e manifestazioni con l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla distruzione del sistema sanitario. In poco tempo la rete ha riscosso un grande successo ed è diventata nazionale, anche se successivamente c’è stata una graduale caduta della partecipazione. Hakiki si è soffermata su come, in ambito medico sanitario, i lavoratori sono più propensi a mettersi a disposizione per andare a Gaza ad aiutare con le loro competenze piuttosto che investirsi in una lotta politica. La critica di Hakiki mette il focus su come neppure un richiamo alla deontologia medica abbia risvegliato molte coscienze e come la militarizzazione della ricerca venga percepita lontana dall’ambito medico quando invece ne è al centro, basta pensare ai nuovi metodi di tortura frutto di studi in ambito neurologici conosciuti come “tortura bianca”.
Avviandosi verso la conclusione si esprime Jacopo, altro membro del “Comitato con la Palestina Siena”. Secondo Jacopo l’attuale accelerazione della militarizzazione dell’università ha provocato una restrizione degli spazi democratici. Chi vuole opporsi a queste tendenze deve opporsi anche ad una visione suprematista e guerrafondaia. Come Comitato chiedono il boicottaggio di ogni prodotto israeliano. Non basta un movimento d’opinione, ma è necessaria la presenza di movimenti politici che agiscano su tutti i livelli per portare avanti il BDS e la lotta per la Palestina.
In ultima battuta la parola viene ripresa da Osvaldo Costantini che propone al pubblico di allargare questo momento in un contesto più ampio, magari a Roma, riunendo le molte realtà associative e sindacali, dialogando sperabilmente con i ministeri direttamente coinvolti. L’idea è quella di istituire un’assemblea nazionale che affronti i temi discussi nella mattinata. Infine domanda: “Noi siamo in grado di dichiarare guerra alla guerra?”.
Oltre a questi interventi molte altre persone hanno partecipato al dibattito, offrendo ulteriori riflessioni che si inscrivono in un quadro già molto ricco di senso critico.
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