Un’immagine ricorrente, che papa Francesco ci ha sottolineato spesso durante la pandemia, è quella della barca, dello “stare sulla stessa barca”. È una metafora tutt’altro che poetica: richiama un luogo angusto, una convivenza non sempre facile, una traversata da compiere, venti, paure, speranze affievolite e una pesca da realizzare. Francesco, guidando la barca, ora ha raggiunto la meta e, pensando a questo, mi sono venute in mente le parole dell’apostolo Paolo:
“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (2 Tm 4,7-18).
Paolo precisa “non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione”. È quello che accomuna tutti i credenti – papi, pastori, religiosi, fedeli laici – attendere con amore di poterlo raggiungere e stare con Lui, per godere per sempre della sua manifestazione. E ognuno va al Signore con quello che è e con quello che ha. Per cui la prima reazione cristiana non è tanto scrivere un resoconto di quello che papa Francesco è stato e ha significato, ma, piuttosto, dire un grande GRAZIE al Signore per avercelo donato, con tutti i suoi doni e i suoi limiti, come per ogni fratello e sorella nella Chiesa.
Il grazie impone tanto silenzio perché altrimenti si potrebbe scatenare la corsa nel voler dire la sintesi più a effetto sulla sua persona e sulla sua storia, specie da pontefice. Avremo bisogno di tempo per capire meglio, tra luci ed ombre, la profondità degli orizzonti ecclesiali e mondiali che ha aperto o indicato, della riforma voluta per la Chiesa cattolica, del magistero sulla fratellanza universale, dell’amore per il creato, della lotta alle ingiustizie e alle povertà, della promozione della pace e degli ultimi. Per ora, in silenzio, ripetiamo il nostro GRAZIE al Signore.
Lo ha scritto bene Dietrich Bonhoeffer:
“Non c’è nulla che possa sostituire
l’assenza di una persona a noi cara. (…).
La gratitudine trasforma il tormento del ricordo
in una gioia silenziosa.
I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un dono prezioso.
Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi,
di consegnarci a essi;
così come non si resta a contemplare di continuo
un dono prezioso, ma lo si osserva in momenti particolari
e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.
Allora sì che dal passato emanano
una gioia e una forza durevoli”.
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