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Per salvare il quorum l’8 e 9 giugno, contro l’ambiguità dell’astesione

Cosa è successo a quei leader che hanno usato politicamente i referendum?

Per salvare il quorum l’8 e 9 giugno, contro l’ambiguità dell’astesione
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6 Giugno 2025 - 14.34


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di Caterina Abate

A pochissimi giorni dalle prossime consultazioni referendarie abrogative dell’8 e 9 giugno, la presidente Giorgia Meloni intervistata dai giornalisti ha rilasciato una dichiarazione a riguardo alquanto ambigua: ha affermato che andrà ai seggi, ma senza ritirare le schede. Per chi è poco avvezzo ai meccanismi referendari la frase “Vado a votare, non ritiro la scheda” pronunciata dalla premier starebbe affermando la sua partecipazione al referendum, ma in realtà quello che dice è esattamente l’opposto. Il risultato è chiaramente la volontà di far mancare il quorum, infatti secondo una circolare del Ministero dell’Interno “coloro che rifiutano la scheda non dovranno esser conteggiati tra i votanti della sezione elettorale”. Con una certa ambiguità quindi la premier non fa che mantenersi in linea con gli altri esponenti di coalizione, che hanno però espresso la propria astensione in modo più che netto, lasciandosi andare ad aperte campagne all’astensione. Non c’è da essere d’accordo nemmeno con la lettura della vicenda da parte del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, il quale ha dichiarato che “L’astensione è una forma di partecipazione al voto, il referendum la prevede altrimenti non ci sarebbe il quorum”, che travisa di netto il significato del quorum, uno strumento di garanzia pensato dai costituenti, che non è mero mezzo manipolatorio utilizzabile per far saltare decisioni politiche scomode.

Pur non essendo la prima volta che delle cariche verticistiche del governo fanno campagna per l’astensione al referendum, non si può dire guardando al passato che tali appelli siano stati in effetti sempre accolti.

Oltre all’arzigogolato appello all’astensione di Marco Pannella nel 1985, per il referendum della scala mobile, vi fu nel ’91 la volta che Craxi consigliò agli italiani di andare a mare, piuttosto che alle urne in occasione del referendum sulla riduzione delle preferenze per l’elezione alla Camera dei deputati da 3 ad 1. In entrambi i casi il quorum venne ampiamente superato, oltre Craxi nel ’91 spingeva all’astensione anche Umberto Bossi. Si scriveva così uno dei primi capitoli dell’inizio della fine della prima repubblica. Nel 2011 Silvio Berlusconi, allora presidente, arrivò persino a definire i referendum su nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento, come “iniziative demagogiche”, senza accogliere però il favore degli allora presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani. Il quorum fu raggiunto quasi al 55%.

Anche la sinistra ha avuto un paio di esponenti che si sono lasciati andare all’astensione, come nel caso di Matteo Renzi nel 2016 per il referendum sulle trivelle e Sergio Cofferati che nel 2003, da ex segretario della CGIL dichiarò che non sarebbe andato a votare per l’estensione dell’articolo 18 alle piccole imprese, ma senza fare campagna in tal senso. In entrambi i casi purtroppo però l’astensione ebbe la meglio. Per quanto come dichiarato da alcuni la scelta astensionista sia legittima, resta comunque una scelta iniqua. La dichiarazione ambigua di Meloni è un livello di mancato senso civico ulteriore rispetto ai precedenti, perché sembra far leva anche su una certa mancata dimestichezza dei cittadini con i meccanismi referendari. Un’opzione eticamente sensata sarebbe potuta essere piuttosto l’astensione selettiva, cioè la decisione di scegliere di votare o ritirare solo una parte di schede, in modo da non inficiare il raggiungimento del quorum.

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