“Miseria e Nobiltà- Italian Style 2025”: orologi rubati, cachemire sfruttato e multe evaporate

Una commedia tragicomica tutta italiana che ricalca un famoso film ma che è frutto della società attuale. Da Portofino a Capri, passando per Napoli, per le cucine stellate e i comandi della municipale.

“Miseria e Nobiltà- Italian Style 2025”: orologi rubati, cachemire sfruttato e multe evaporate
Un fotogramma con Totò dal film “Miseria e Nobiltà” del 1954
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Marcello Cecconi Modifica articolo

18 Luglio 2025 - 11.18


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Totò lo aveva previsto, o forse semplicemente raccontava ciò che è sempre stato: una nazione dove la miseria sogna la nobiltà, e la nobiltà si comporta con miseria. Ecco perché Miseria e Nobiltà non è solo un film della napoletanità del passato ma resta attuale perché la sua trama riesce ancora a rappresentare il 2025 italiano. Siamo nella commedia, ma senza scenografia perché la recita è la vita vera. Eccola.

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A Capri, nel salotto dei salotti del jet set, un deputato della camera dei lord inglese si fa rubare l’orologio in centro. Non uno qualunque: uno che vale quanto una Ferrari nuova di zecca. Il furto ha scioccato l’opinione pubblica, che subito ha puntato il dito su degrado, sicurezza, clandestinità. A quanti è venuta in mente un’idea rivoluzionaria: e se avesse lasciato l’orologio sullo yacht?

A Portofino, invece, si combatte il vero nemico dell’estate: l’accattonaggio anche non molesto e tutti coloro che mangiano un panino e bevono una birra per strada, sotto i portici e nei giardini pubblici. Non disturbano, non sporcano, non offendono ma rovinano l’estetica da cartolina. Via tutti, in nome del “decoro”. Il concetto di povertà, in riviera, è accettabile solo se uno fa il cameriere in silenzio e ha qualche referenza da nobiltà decaduta.

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E mentre la nobiltà del buon gusto fa le ferie nel decoroso Portofino, la nobiltà dell’impresa affonda le mani nel fango. Un’azienda famosa per la lavorazione del cachemire, della vigogna e delle lane extrafini, simbolo del lusso sobrio e il cui logo vale più di un diamante, è finita nel mirino per sfruttamento del lavoro. Da tempo lungo la filiera dell’eleganza italiana si aggira l’ombra della mafia cinese pratese, che ormai è diventata la fast fashion dell’illegalità. Operai sottopagati, turni impossibili, contratti evaporati a “beneficio” dei soliti invisibili: manodopera straniera, povera, non instagrammabile.

Nel frattempo, nelle cucine più “autentiche” del Paese, la selezione del personale prende una piega che nemmeno l’immaginifico Orwell avrebbe mai osato pensare. Un celebre chef italiano pubblica un annuncio che sembra scritto nel 1938: niente “razze sbagliate”, né opinioni politiche. Un cuoco da esportazione, certo, ma l’apprendista deve essere apolide, apatico e possibilmente ariano. Se no come farebbe a montare bene la maionese.

Ma il vero genio, quello napoletano e creativo, va menzionato con rispetto. A Napoli, un vigile urbano ha pensato bene di annullare 300 multe. Non per pietà universale, ma per sé stesso, per la moglie, i parenti, gli amici stretti e quelli un po’ meno stretti. Altro che Totò! Questo è un moderno Robin Hood al contrario e forse si era solo ispirato ai meccanismi di certi ministeri: prima la famiglia, poi la legge.

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In fondo, tutto torna: l’Italia non ha smesso di essere il Paese di Totò, ha solo perso l’ironia. I poveri ci sono ancora, i ricchi pure, ma nessuno di loro fa più sorridere. Fanno solo satira involontaria.

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