L'Europa invertebrata: tra dicotomie ingannatrici e servilismo politico

La tendenza a genuflettersi al potere di turno, la sudditanza come forma ciclica della politica e le facce che ha assunto con Trump. Una conversazione con il professor Alessandro Prato, docente di filosofia e teoria dei linguaggi presso l’Università di Siena.

L'Europa invertebrata: tra dicotomie ingannatrici e servilismo politico
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26 Luglio 2025 - 13.17


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di Lorenzo  Lazzeri

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L’editoriale di Siegmund Ginzberg, “Gli invertebrati del Presidente“, apparso su Il Foglio il 7 luglio 2025, dipinge un quadro inquietante del panorama politico internazionale, dove l’Europa sembra piegarsi acriticamente ai voleri degli Stati Uniti e del suo presidente Donald Trump. Il testo di Ginzberg traccia un’immagine di un’Europa che si è “inchinata” a Trump, un’evidenza palpabile nell’incremento delle spese militari al 5% del PIL e nella potenziale abrogazione della Global Minimum Tax per le multinazionali. Questa “nuova propensione all’adulazione e alla supinità” viene vista come null’altro che una “rivoluzione copernicana nel metodo negoziale, basata sul cedimento preventivo“. L’Europa si configura come “un Paese che non esiste“, una collettività politica frammentata, priva di una politica estera comune, sprovvista di una visione o di una lingua condivisa e afflitta da politiche fiscali incoerenti. Tale intrinseca incapacità di agire come un’entità coesa ci rende “sudditi mollicci” agli occhi non solo di Trump, ma anche della Cina e di altre potenze globali.

Cerchiamo di fare il punto di questa situazione con Alessandro Prato (docente di Filosofia e teoria dei linguaggi dell’Università degli Studi di Siena) attraverso una disamina di questa “servitù volontaria” che caratterizza la politica europea e che è rappresentata dalle discutibili  strategie retoriche utilizzate nelle dichiarazioni dei più importanti leader europei. La prima strategia consiste nella dicotomia modello-antimodello già stigmatizzata da Chaïm Perelman nel fondamentale Trattato dell’argomentazione.  Questa tecnica argomentativa prevede la riduzione della realtà a soli due estremi contrapposti, uno assunto sempre come intrinsecamente positivo e l’altro come inequivocabilmente negativo, secondo una logica binaria che azzera ogni possibile sfumatura intermedia e ogni forma di senso critico.

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Nel contesto geopolitico attuale ciò si materializza nella netta contrapposizione tra “Occidente” – rappresentato dagli Stati Uniti e dal suddito europeo – e “gli altri”, ovvero Russia, Cina e Iran. Il primo assorbe l’intero spettro dei valori positivi, quali libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani, mentre il secondo incarna tutti quelli negativi, come oppressione, dittatura, sopraffazione. Sebbene questa costruzione non rifletta la multiforme complessità della realtà, essa innerva i discorsi e le prese di posizione della maggior parte degli occidentali, e in particolare dei leader politici, anche quando confligge con gli interessi materiali dei paesi europei. Ne sono esempi calzanti da un lato l’impegno all’acquisto di armamenti dagli Stati Uniti, con un onere finanziario che si potrebbe attestare fino al 5% del PIL e che avrebbe un impatto fortemente negativo sui bilanci dei paesi europei e, dall’altro, la scelta di rifornirsi di gas liquefatto dagli USA a prezzi elevati, nonostante la comprovata disponibilità di gas russo di qualità superiore e a costi notevolmente inferiori.

La tecnica del modello/antimodello si accompagna a quella che prende il nome di falso dilemma che, come Prato fa opportunamente notare, presenta una scelta obbligata e brutalmente semplificata al pari della dicotomia precedente: “o sei a favore o sei contro“. Questo approccio, nella sua risibile semplicità, ignora la complessità intrinseca della società e dell’economia, dove abbondano soluzioni diversificate e punti di vista molteplici. Negli Stati Uniti, ad esempio, criticare una decisione di Trump, pur militando nel suo stesso partito, può automaticamente etichettare un individuo come “antiamericano”. Tale coercizione inibisce l’espressione di pensieri originali o variazioni su temi preesistenti, indebolendo irreparabilmente il dibattito democratico. Una siffatta carenza di strumenti critici si rivela oltremodo pericolosa, poiché conduce a decisioni che possono portare a conseguenze negative sulle condizioni di vita dei popoli europei.  L’acuta dipendenza dagli Stati Uniti ci relega a una condizione di sudditi dell’Impero Americano nei confronti del quale tendiamo sempre ad esprimere adesione e assenso. Non a caso la Global Minimum Tax, che avrebbe potuto ristabilire un fondamentale equilibrio fiscale in Europa, è stata repentinamente accantonata solo perché proveniente da una parte ideologicamente considerata “negativa” e con questa è venuta meno la forza, il coraggio, la determinazione di recidere tale “cordone ombelicale”.

Ancora Prato sottolinea il fatto che il dibattito sulla politica internazionale è caratterizzato anche dalla presenza spesso pervasiva dell’argomento di autorità, una fallacia argomentativa che viene impiegata per avvalorare opinioni non in virtù del loro intrinseco valore ma solo in base all’autorità di chi le proferisce. Una tesi sostenuta da un leader o un’istituzione è quindi considerata valida solo in base al prestigio di chi la sostiene, senza alcun esame critico. Abbinato alla dicotomia modello-antimodello l’argomento d’autorità amplifica ulteriormente il suo impatto: “se lo ha detto Trump, allora deve essere vero“, poiché Trump è l’incarnazione dell’Occidente, del valore positivo per eccellenza.

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Ciò conduce a un appiattimento acritico sulle prese di posizione del leader, senza che queste vengano mai messe in discussione, come fa appunto il governo italiano che si è allineato a Trump (e in precedenza a Biden) persino su posizioni manifestamente insostenibili. Nel suo editoriale Ginzberg richiama alla memoria figure storiche quali Plutarco, Erasmo e Montaigne, i quali già secoli or sono mettevano in guardia contro i pericoli dell’adulazione e della prostrazione ai potenti. La “perversità degli adulatori” e la “servitù volontaria” sono fenomeni antichi, eppure essi si ripresentano prepotentemente. L’Europa, in questo frangente storico, sembra aver volutamente ignorato le lezioni del passato preferendo, come analizzato da Eric Fromm in relazione all’ascesa del nazismo, una “fuga dalla libertà” dettata da stanchezza e incertezza.

La disamina di queste argomentazioni ingannevoli presenti nel discorso pubblico mette in luce come l’Europa si trovi dinanzi a un grave problema: la sua incapacità di affermare una propria identità e il suo rapporto di sudditanza con gli Stati Uniti rischiano di compromettere completamente il suo peso politico a livello internazionale, così come la sua fondamentale capacità di agire nel proprio interesse. L’era degli “invertebrati” potrebbe così configurarsi come una preoccupante, tangibile realtà.

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